Malala Yousafzai, la paladina dei diritti civili

Malala è nata in Pakistan nel 1997.

A soli 11 anni è diventata famosa per il suo blog, su cui scriveva della soppressione dei diritti civili nel suo Paese, soprattutto nei confronti delle donne. Questo le ha causato non pochi guai: nel 2012 mentre tornava a casa da scuola ha subito un’aggressione da un gruppo di uomini armati, che sono saliti sul pullman in cui viaggiava e l’hanno colpita al volto.

I talebani pakistani hanno rivendicato l’attentato, sostenendo che Malala fosse “simbolo degli infedeli e dell’oscenità”.

L’attentato non la ferma: viene curata, si rimette e torna a scrivere, a denunciare.

Malala è un’attivista che si batte affinché le donne possano godere dei diritti civili e possano ricevere un’istruzione, che il regime talebano non permette.

Nel 2014 questa grande, piccola donna, diventa la più giovane ad aver ricevuto il Premio Nobel per la pace.

Il suo motto? “Un bambino, un insegnante, una penna e un libro possono cambiare il mondo”.

Per noi occidentali è facile parlare, facile manifestare il nostro pensiero, facile ribellarsi. Per le persone, soprattutto donne, provenienti da Paesi come il Pakistan, non lo è affatto. La libertà non esiste e chi si ribella viene punito.

Se, però, una ragazza di 22 anni lotta in prima linea per il riconoscimento di un sacrosanto diritto, suo e della sua gente, il mondo intero non può che schierarsi dalla sua parte e fare in modo che questi assurdi regimi dittatoriali politico-religiosi la smettano una volta per tutte di limitare libertà umane.

La storia di questa ragazza deve essere raccontata nelle scuole, nelle televisioni, come modello da imitare. I giovani devono ispirarsi a persone come lei, devono sapere che tutto ciò che loro hanno di diritto dalla nascita, qualcuno deve lottare per provare ad ottenerlo. E spesso neanche lo ottiene.

di Ludovica Morico

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