Il Regno: corruzione, azione ed espulsione

Dal nostro inviato al festival Riccardo Tavani

Festival del Cine Español, quarta giornata. Solite interminabili file fuori del Cinema Farnese, a Campo de’ Fiori, dove la rassegna si sta svolgendo. Platea e galleria gremite per El Reino, Il Regno, del giovane regista madrileno Rodrigo Sorogoyen. Il 2008, epoca in cui è ambientato il film, costituisce un anno cruciale per la Spagna. Lo svilupparsi della crisi economica mondiale viene a coincidere con l’esplosione di gravi casi di corruzione politica. L’autore immagina un personaggio, Manuel López-Vidal – magistralmente interpretato da Antonio de la Torre –, il quale è vicepresidente regionale di partito, uno snodo intermedio di un vasto ingranaggio corruttivo nazionale. Sposato con prole, il dirigente conduce una vita molto agiata ma apparentemente irreprensibile. Finché non cominciano a trapelare le prime indiscrezioni su uno scandalo che coinvolge sia il partito, sia direttamente la sua persona. Capisce che il vertice nazionale del partito non solo lo vuole scaricare, ma sta provando ad addossare proprio a lui tutte le responsabilità. Comincia una convulsa corsa al proprio salvataggio, che diventa un attraversamento di tutti i gironi e un incontro con tutti i personaggi del Regno, ossia del tentacolare apparato di corruzione che lo avvolge e vuole ora stritolarlo, espellerlo.

Girato con la tecnica e i ritmi incalzanti di un vero action movie, il film passa da una rivelazione all’altra, con continui colpi e rovesci di scena, agguati, fughe, inseguimenti, per impedire al protagonista di arrivare a meta, ossia a mettere le mani sulle prove incontrovertibili della corruzione di vertice del potere. Ma c’è poi un vertice? O non si tratta piuttosto di una struttura labirintica, nella quale la corruzione è seminata come una scia che deve permeare di sé ogni ambito, ogni ganglio, ogni livello, così non si possa mai veramente uscire, districarsi da essa. Notevole per realizzazione e significato una delle ultime scene del film. López-Vidal si presenta di notte a casa di un dirigente nazionale di partito, sapendo che è assente, per farsi aprire dalla figlia, su ordine del padre, la porta in cui sono custoditi proprio quei documenti compromettenti che lo salverebbero. López-Vidal la ricatta, minacciandola di svelare che lì dentro si stanno spacciando sostanze tossiche pesanti e consumando rapporti di maggiorenni con minorenni. Tutti, anche chi, come i giovani, si appresta a entrare nell’ingranaggio, e prima di entravi, deve essersi già macchiato di qualcosa ed essere dunque preventivamente ricattabile, assoggettabile. È una garanzia che il sistema si dà all’origine. Sette Premi Goya 2019, quale migliore regia, migliore sceneggiatura originale, migliore attore protagonista, migliore attore non protagonista, miglior montaggio, migliori effetti sonori, migliore colonna sonora. Distribuito da Movies Inspired, esce in Italia il 4 luglio 2019.

Il primo pomeriggio è però iniziato con un film di tutt’altro genere, Campeones, di Javier Fesser, cha ha preso da noi il titolo di Non ci resta che vincere. Il Festival del Cine Español, nella sua quarta giornata, lo propone ora al Cinema Farnese, Campo de’ Fiori, Roma, dove la rassegna si sta svolgendo. E a vincere, il film ha davvero vinto, come campione d’incassi, con ben tre milioni di biglietti fatti staccare nei botteghini spagnoli. Ha vinto anche ben tre importanti Premi Goya 2019: Miglior Film, Migliore Canzone, Miglior Attore Esordiente a Jesús Vidal, nel ruolo di Marin. Marco è l’allenatore in seconda di una squadra di basket in serie A. Carattere polemico fino all’insulto, alle mani, viene sbattuto fuori dalla squadra dal mister in carica. Fermato per guida in stato di ubriachezza, viene condannato ai servizi sociali. Deve scontare la pena allenando una squadra di basket amatoriale, Los Amigos. È una squadra di persone diversamente abili ma che i dirigenti vogliono iscrivere a un campionato regionale. Marco è interpretato da un attore spagnolo, Javier Gutiérrez (La Isla Minima, L’olivo, Truman– Un vero amico è per sempre), mente i componenti della squadra di pallacanestro sono disabili veri. Ciò ha comportato che il regista non potesse seguire rigidamente il copione già scritto, ma si dovesse adattare alle situazioni che venivano a crearsi al momento. E questo si è rivelato un punto di forza del film, perché gli conferisce convincenti momenti di spontaneità e verità. Vengono messi in commedia tutti i pregiudizi dei normodotati, impersonati proprio dalla figura dell’allenatore Marco, e per questo la comicità non è mai fine a sé stessa ma a uno sfondo serio di riflessione.

Lunedì 6 maggio, quinta giornata, repliche per chi li avesse persi di Las Distancias(h 16,00), il travolgente Muchos Hijos un Mono y un Castillo(ore 18,00), Mudar la Piel(h 20,15), Entre Dos Aguas(h 22,00).

 

Print Friendly, PDF & Email