Giulia Nausicaa Bianchi: “Fotografo le Donne Prete e le suore lesbiche senza tabù”

Figura eclettica della fotografia contemporanea, Giulia Nausicaa Bianchi si trasferisce a New York nel 2010 per studiare fotografia all’ICP e dedicarsi agli studi filosofici e artistici. La sua ricerca fotografica prende origine da una formazione umanistica che le permette di indagare i temi della disobbedienza civile e del femminismo all’interno della Chiesa Cattolica con grande sensibilità e sapere scientifico. Gli argomenti principali della sua opera sono il sacerdozio femminile proibito e la ricerca di Dio nella Terra Santa. Ciascuna serie fotografica ha la capacità di superare i limiti della specificità tematica, consentendo una riflessione di ampio respiro sull’uguaglianza e sulla giustizia sociale indirizzata alle più alte istituzioni politico-religiose.
Racconta le Donne Prete Cattoliche scomunicate dal Vaticano con il suo progetto “Ordination: I Think Jesus Was a Feminist”.
Ci riporta una frase di una suora domenicana ordinata prete nel 2003, risuona l’eco di queste parole che vanno oltre la scelta personale. Semplicemente vanno oltre. “Se una legge ingiusta non può essere cambiata, deve essere infranta”. La suora ordinata prete si chiama Patricia Fresen e fu allontanata, cacciata dal suo ordine e scomunicata dal Vaticano. E’ solo una delle 250 Donne Prete Cattoliche Romane nel mondo che la fotografa documentarista ci ha fatto conoscere “raccontandocele” nel progetto “Ordination: I Think Jesus Was a Feminist”. Giulia ci tiene anche a specificare che non è un’attivista perché, se lo fosse, la sua visione del progetto sarebbe stata fuorviata e avrebbe nascosto alcune cose che invece ha volutamente fotografato. Al centro del suo racconto visivo ci sono tante sfaccettature che vanno dalla denigrazione delle donne nella tradizione della fede e la disobbedienza religiosa. Lei si ostina a precisare che non vuole e non deve convincere il pubblico che le Donne Prete sono necessarie, vuole solo chiedere al pubblico cosa ne pensa e fornire un’esperienza, anche controversa, purché sia stimolo di riflessione.
Così come è controverso il tema del sacerdozio femminile, bandito dalla Chiesa. Dal 2002, centinaia di suore e teologhe sono state ordinate illecitamente, costruendo un movimento globale chiamato RCWP: Roman Catholic Women Priests, Donne Prete Cattoliche Romane. Il progetto “Ordination: I Think Jesus Was a Feminist” nasce da un viaggio che Giulia ha fatto all’interno di 35 comunità tra Stati Uniti, Canada e Colombia, offrendo una contro-narrativa agli stereotipi e indagando la complessità dei soggetti ritratti.
In un’intervista rilasciata ad HuffPost, possiamo quasi sentire la sua voce che ci accompagna in questo viaggio “proibito”.
“Tutto iniziò nel 2012. Non è la prima volta che il progetto viene esposto, divulgato, illustrato. Nel 2016, ad esempio, ho osato affiggere attorno al Vaticano circa cento poster a tema, per richiamare l’attenzione sulla questione del sacerdozio femminile. Mi avevano chiesto di fare una mostra a Roma e io rifiutai, così, previa autorizzazione del Comune, ho preferito portare a termine quest’atto. A Padova siamo riusciti a restituire nuovamente la complessità del progetto grazie a stampe curate e alla presenza di testi. Perché a volte la sola fotografia non basta se manca l’informazione. Si tratta di una storia che va raccontata oltre che vista, perciò è stato necessario avere a disposizione pannelli con testi e lunghe didascalie. Ho voluto anche far installare una sorta di tavolo di lavoro, come quello dei ricercatori o degli investigatori. In fondo il lavoro eseguito non si discosta tanto da ciò che fanno loro. E’ un tavolo che raccoglie e custodisce foto, pagine di diario, lettere di scomunica delle donne, riflessioni sulla religione.
Voglio, con questo progetto, far capire che una Donna Prete non è paragonabile ad un uomo. Porta con sé i valori femminili a cui non deve rinunciare. Così ho deciso di ritrarre anche i lati più intimi, persino i corpi di queste persone. In fondo la fotografia è un mezzo per far vivere esperienze, senza manipolare lo spettatore ma portandolo a farsi delle domande che non si era posto fino a quel momento.
Da parte delle Donne Prete ho notato una grande attenzione verso le famiglie divorziate e i senzatetto, verso le comunità gay e transgender, persino nei confronti delle prostitute cattoliche credenti.
Il mio interesse si rivolge sempre al misterioso, a ciò che non capisco. Ci sono fotografi che si definiscono attraverso le tematiche, io ho sempre cercato di non essere etichettata. Per questo mi piace portare avanti progetti che non abbiano a che fare solo con le donne o con la religione. Nasce tutto dall’incrocio tra spiritualità e misteri, dall’indagine, dalla ricerca d’identità. Continuo a farmi domande sulle grandi cose in cui siamo immersi.
La curiosità e la voglia di sapere sono il motore della mia vita, quella smania di documentare attraverso le mie immagini realtà sconosciute o poco note, la scintilla che mi permette di far scuotere il torpore della gente portando le loro menti a ragionare, riflettere ed elaborare ciò che vedono, ciò che le immagini fanno scattare nella loro anima.
In fondo come diceva il grande Henri Cartier-Bresson, è necessario sentirsi coinvolti in quello che si ritaglia attraverso il mirino. Fotografare è mettere sulla stessa linea di mira la testa, l’occhio e il cuore. È un modo di vivere”.

di Stefania Lastoria

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