Nino Di Matteo, silurato dal pool antimafia

Le stragi di mafia hanno dei mandanti esterni, ogni volta che se ne parla si paga un prezzo. Un prezzo alto, al quale spesso è legata la vita dei pm che indagano. Un filo sottile che può essere spezzato da un lieve soffio di vento. Un vento in grado di essere generato da tutti coloro che non vogliono si conosca la verità. Il pm Nino Di Matteo, condannato a morte dalla mafia, su ordine di Totò Riina, ha rilasciato una intervista alla trasmissione Atlantide sul mandanti esterni delle stragi. Per questo è stato rimosso dal pool che deve indagare e coordinare il lavoro delle procure territoriali. In forza alla Procura Nazionale Antimafia, dopo le continue minacce di morte e quintali di tritolo spostati a Palermo per farlo saltare, dove era approdato per indagare sulle stragi. Il provvedimento, preso dal procuratore capo della Direzione Nazionale Antimafia. Ma il pm Di Matteo non ha svelato nessun segreto istruttorio, anzi ha riassunto quanto già emerso nel corso dei processi e pubblicato sui giornali. Di Matteo molto cauto, usando termini e citando elementi già conosciuti, evitando ogni riferimento alle indagini in corso. Nessuna rivelazione, il pm ha parlato di fatti noti, ma all’esame dell’Antimafia. Non ha citato le intercettazioni del boss Giuseppe Graviano nelle quali si fa riferimento a Berlusconi. Ha solo ricordato elementi oscuri, poco chiari, sui quali si dovrà ulteriormente indagare, come il ritrovamento di un guanto con dna femminile è un foglietto con il numero di un funzionario dei servizi segreti, trovati entrambi sul luogo della strage di Capaci il 23 maggio 1992. Ha ricordato l’interesse di Giovanni Falcone per gli elenchi di Gladio, l’organizzazione segreta anticomunista creata in accordo con i servizi americani e svelata da Giulio Andreotti. Di Matteo ha rilasciato una intervista ricostruendo un percorso storico, oggi dimenticato, ma noto e pubblicato sui giornali degli anni scorsi. Probabilmente da fastidio la ricostruzione storica che riporta alla memoria fatti accertati e segreti da svelare con indagini più accurate. Nessuno di questi fatti era segreto. Per questo la decisione di allontanare Di Matteo dal pool la troviamo inquietante. Anche perché il procuratore capo ha deciso di andare oltre le responsabilità mafiose, tra l’altro già accertate, per percorrere la strada ben più oscura e rischiosa, dei possibili collegamenti tra Cosa Nostra e le “entità esterne”. Indagare su Totò Riina, un mafioso morto, non crea problemi, ma cercare il legame tra i servizi segreti, altre entità politiche, con Cosa Nostra, in merito alle stragi, non è facile anzi è pericoloso. Il procuratore capo, lo sta facendo, per questo non capiamo la scelta di privarsi della collaborazione del pm più preparato in tema di stragi e collegamenti con entità “istituzionali”.

di Claudio Caldarelli

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