A sud di Gerusalemme…

A sud di Gerusalemme, subito dopo il muro di separazione costruito all’inizio degli anni 2000, e che separa lo Stato ebraico dalla Cisgiordania occupata, sorgevano le case di 17 famiglie palestinesi.

Quelle case del quartiere Sur Bather, alla periferia meridionale di Gerusalemme, costruite al prezzo di sacrifici durati una vita, ora non ci sono più.

Nella notte tra domenica e lunedì 22 luglio, centinaia di soldati hanno circondato i primi 13 edifici destinati alla demolizione e costretto i residenti – e gli attivisti palestinesi e israeliani che erano lì a sostenerli – ad abbandonare le abitazioni.

Appena allontanati gli sfollati, anche con l’utilizzo di manganelli e lacrimogeni, i mezzi pesanti sono entrati in azione e hanno ridotto in macerie quelle che, solo qualche ora, prima erano dei condomini.

Israele sostiene che quelle case, costruite troppo vicine al muro, andavano demolite perché mettevano a rischio sicurezza dello Stato.

Per i palestinesi, invece, Israele usa presunte esigenze di sicurezza come pretesto per costringerli ad abbandonare un’area che, secondo gli Accordi di Oslo degli anni ’90, è sotto il controllo civile dell’Autorità Palestinese.

Amnesty International, ritiene che le demolizioni violino il diritto internazionale e le considera parte di un modello sistematico. Il muro dell’apartheid, infatti, attraversa i territori occupati palestinesi tagliando e dividendo la terra e le comunità palestinesi. Il pretesto della sicurezza, quindi, mette a rischio molti altri villaggi e città palestinesi.

Il timore di chi si oppone alle demolizioni è che Israele stia attuando una strategia finalizzata a guadagnare spazio di espansione per l’edificazione di nuove colonie e che la distruzione di Sur Bather sia solo il primo atto di quella che qualcuno definisce ingegneria geo-demografica. Sostanzialmente una pulizia etnica.

Nonostante Israele sostenga la legittimità delle demolizioni – anche perché approvate dalla Corte Suprema del paese mediorientale – ritenendole essenziali per la sua sicurezza, l’inviato delle Nazioni Unite per il conflitto israelo-palestinese e l’Unione europea hanno condannato la politica delle demolizioni e chiesto la sua immediata cessazione perché “in tutte le circostanze tranne le più eccezionali, la demolizione nei territori occupati è contraria al diritto internazionale umanitario e alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”.

Per l’UE, le demolizioni causano sofferenze inutili ai comuni palestinesi e sono dannose perché ostacolano il processo di pace e minano ogni possibilità che si possa giungere alla soluzione dei due stati per due popoli.

Ma forse è proprio questo il messaggio che Israele lancia alla comunità internazionale e all’Autorità Palestinese: gli accordi di Oslo non esistono più.

di Enrico Ceci

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