La rosa canina e il capraro

Bacche e fiori di rose canine quello che rimane del ricordo di un autunno sfinito dal caldo e dalla miseria, delle notti estive lontano dalle radici terrene. Solo un ricordo che cade come una lenza il un lago burrascoso e gelato….quando l’amore chiama, seguitelo. Anche se le sue vie sono spine di rosa canina. Così che il dolore dentro di noi, tondo, rosso e pesante, non possa stremarci. È nelle notti estive essere radici di un giardino senza mura, un vigneto profumato e un tesoro sempre aperto ai viandanti. Essere giardino di rosa canina anche quando si è derubati, derisi, ingannati e ciononostante guardare dall’alto del Corvo, dal buco del capraro, dal più intimo di noi stessi con un semplice sorriso….Il capraro, che fino a tardo inverno si scorticava il muso e le mani per raccogliere e spremere le bacche di rosa canina fino al tardo inverno sognando di restare nella grotta per sempre, anche quando l’inverno lo proibiva. Un bivacco accessibile a pochi, una rupe rocciosa, tagliente, nulla chiese, il capraro, con le mani piene di bacche di rosa canina, si fermò sul limitare del bosco, dietro un vecchio faggio, dalle radici terrene nerborute,gli occhi dell’aurora erano ancora languidi e la guazza era nell’aria. Il tenue odore dell’erba bagnata indugiava nella nebbia sottile sulla terra, dallo stazzo una leggera nuvola si aggrappava al manto lanoso delle capre, sotto al vecchio faggio, il capraro ascoltava le corde dell’arpa vibrare nel suo cuore, di fuggevoli ritmi disuguali.
Fiori e bacche di rosa canina nello sguardo di lei e della sua pungente dolcezza segnato da un ispida infanzia. Il rosso e il rosa delle labbra e della pelle, rimasti intatti dal duro scorrere dei giorni. Il capraro conosceva questo segreto e la vigilia di Natale, quando a nerito accendevano il grande fuoco, il fuoco alchemico, lui veniva al paese. La cercava tra i paesani e quando incrociava lo sguardo, poneva il ramoscello secco di rosa canina nel fuoco. Il fuoco sacro, ove tutto può accadere, davanti a quel fuoco lei disse: prendo quello che viene dalle tue mani generose, profumate di mungitura, non chiedo altro. Si, si, ti conosco umile capraro, tu doni tutto quello che hai, se vi fosse per me un fiore smarrito, lo metteresti sul mio cuore. Ma se vi fossero delle spine, le sopporterei. Così è la mia vita. Davanti al fuoco la bellezza di A. Si trasformava in oro e dallo scintillio assumeva la forma di una Dea scesa per amare ed essere amata con la forza della natura racchiusa nella Bacca di Rosa canina. Davanti a quella magia A. si senti avvolta dall’incanto del capraro, sussurrando al vento parole dolci: si, si, ti sento dentro di me umile signore del Corvo, se solo una volta tu, volgessi a me i tuoi occhi d’amore, renderesti tenera la mia vita al di là di ogni tempo a venire. E se fossero soltanto sguardi crudeli, li terrei nel cuore come un dolce tormento d’amore per te.
Intanto il corvo sorride. Dalla grotta l’alito, il soffio vitale giunge ai cuori puri. Il capraro, il messaggero, condensa l’aria e il fuoco nel ventre del Monte Corvo che con l’acqua, rende terra. Tutto giace nel ventre, tutto è magia, così avvolgente, in questo paradiso primitivo, in un Alba remota della creazione, esisteva la via semplice che da Nerito porta a Campiglione, dove i loro cuori s’incontravano. Le tracce dei loro passi non sono cancellate, i loro respiri sussurrano con il vento. Quando a sera i fiori si chiudono, il gregge torna allo stazzo, tu bellissima A. ti avvicini a me, che esisto solo dentro di te, nel tuo cuore, mormori parole d’amore, io mi sciolgo in pianto e le lacrime si trasformano in bacche di rosa canina a vestirmi con un mantello scarlatto, poi stringi la mia mano che ti accarezza il seno ed io alzo il velo della tua nudità avvolta alla mia e il tuo amore che non conosce compimento è caro al mio cuore.
di Sergio Savini e Claudio Caldarelli
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