Soldi e politica

Se permettete, parliamo un po’ di soldi.

In fondo, bisogna proprio riconoscere che sono indispensabili alla vita, almeno nella nostra società. Senza, non possiamo procurarci di che mangiare, vestirci, istruirci, muoverci…

Ma i soldi sono anche “sterco del diavolo”, secondo l’icastica definizione di San Basilio: possono corrompere, dare potere a chi non lo merita né ne ha diritto, indurre al male in tutte le sue espressioni.

Forse per questo ci sono tante regole e vincoli.

Ma, per restare a vicende più quotidiane, la necessità di averne può scontrarsi con mille difficoltà.

Per esempio, se devo chiedere un mutuo per comprare una casa, la banca vuole un sacco di garanzie. Prima di tutto il prestito copre solo una parte del suo valore (diciamo un 50-60%); poi c’è l’ipoteca, così, se non dovessi pagare, perderei la casa. Ma poi, la banca chiede altre garanzie: un reddito adeguato e stabile, ed assicurazioni sulla vita e sulla casa. Insomma, ottenere un mutuo non è per niente facile e richiede una procedura lunga e talvolta estenuante. E costa più dei semplici interessi.

Perciò sono rimasto stupito leggendo sui giornali del caso di un mutuo ottenuto da Armando Siri, senatore della repubblica e membro (fino a poco fa) del governo. Lui è riuscito ad avere un mutuo che supera il valore della casa da comprare, senza doverla ipotecare e senza offrire altre garanzie. In più, la casa non è intestata a lui (quindi la banca non potrebbe rivalersi in caso di mancata restituzione dei soldi), e la restituzione del capitale comincerà tra un paio d’anni: ovviamente, ad un tasso d’interesse molto basso. Eppure, non si trattava del solito mutuo “prima casa”, ma di ben 750.000 euro. Evidentemente, la banca doveva considerarlo un cliente molto speciale e di assoluta affidabilità.  Peccato che il senatore avesse già patteggiato una condanna – magari ingiusta, ma è raro che si patteggi un errore giudiziario – per bancarotta fraudolenta: che, di solito, vuol dire aver fregato i creditori.

Beh? E che c’è di male? Ecco il solito moralista di sinistra, uno che rosica perché lui per un mutuo ha dovuto sudare sette camicie! Siri non li ha mica rubati, quei soldi, glieli ha prestati una banca! E basta parlare del nulla, pensiamo alle cose reali! – diranno subito gli amici e i compagni di partito del nostro senatore. Dove, ovviamente, per cose “reali” si intende la guerra ai richiedenti asilo.

È vero, ma i soldi sono proprio una cosa reale, come sanno anche i funzionari di banca che hanno concesso quel mutuo.

Non essendo un atto di beneficenza, c’è da chiedersi perché mai una banca si sia messa a rischio, violando le sue proprie regole, per elargire a uno con precedenti di bancarotta un prestito senza garanzie e in misura superiore alla necessità dichiarata.

Oltretutto, a un politico… con la pessima fama di cui godono i politici in Italia.

E, per favore, non dite che era un regalo, magari a sua insaputa: se il fatto è diventato di pubblico dominio, è perché il notaio che ha curato il rogito ha fatto una segnalazione alle autorità anti-riciclaggio, tanto appariva strana e irregolare la faccenda.

Un motivo c’è di sicuro, ma che cosa mai potrà volere in cambio una banca? In realtà, sembrerebbe che anche la banca possa avere un qualche tornaconto: cioè, “considerata l’importante posizione del sottosegretario”, “di avere degli scambi per creare una relazione di lunga durata”. Così è riportata, tra virgolette, la giustificazione del prestito su alcuni organi di stampa. Il testo non lo specifica, ma tutti possono immaginare che cosa siano gli “scambi di lunga durata” tra una banca e un politico: io ti do una cosa a te, tu mi dai una cosa a me… per molto tempo.

Eh già, questo è il punto: la banca (o, per lo meno, alcuni suoi funzionari) che ha fatto omaggio a Siri di un simpatico prestito senza garanzie, in realtà ha finanziato un partito politico, ma senza dichiararlo, come vorrebbe la legge sul finanziamento dei partiti. O forse lo ha – pro quota – comprato. Comunque, è entrata occultamente in politica, come talvolta la finanza fa, per aver voce in capitolo nelle sedi dove non può ufficialmente avere alcun ruolo. È peggio del lobbying. È il tipico gioco dei “poteri forti”: comprano il potere politico (ahimè sempre più debole nei confronti del denaro) per poterlo guidare.

Ma poi, questo è lo stile tipico della Lega, fin dal suo esordio negli anni ‘90, quando mostrava un cappio nell’aula del Parlamento inneggiando a “mani pulite”, mentre riceveva un finanziamento occulto da 200 milioni. Beh, allora la Lega contava poco e percepiva poco. Ma poi le cose sono migliorate, come dimostrano i 49 milioni di Bossi e Belsito; e continuate con il caso delle “spese pazze” in Liguria, che ha coinvolto un altro leghista di governo, Edoardo Rixi, condannato in primo grado per peculato.

C’è coerenza nel carroccio, che mostra storicamente una certa disinvoltura nei confronti dei soldi… degli altri; mentre i propri li custodisce molto bene.

La storia va avanti con l’oscura vicenda russa. Che cosa ne sappiamo per certo?

Che un tizio, senza alcun ruolo di governo, né alcun incarico ufficiale come consigliere o consulente, ha fatto un bel viaggio a Mosca al seguito di una missione politica ufficiale. Credo che non sia stato a spese sue o di Salvini, ma a spese nostre, come di solito avviene in questi casi.

Poi si è incontrato al ristorante con altre persone, alcune delle quali professionalmente qualificate, per fare progetti su un finanziamento alla Lega, attraverso una compravendita di petrolio russo. Quattro amici al bar? non si direbbe, vista la documentazione ufficiale sul progetto.

Può darsi benissimo che il progetto non sia andato in porto, anzi, tutti lo speriamo. Ma già da soli, il viaggio, la riunione e il pur teorico progetto ci dicono molto sull’etica di certi partiti politici. E ci danno indizi importanti sulla genesi della politica estera di un partito di governo.

La cosa più stupefacente è che alcuni politici sembrano aver perso ogni credibilità, ma continuano ad attrarre consenso. Sarà che troppi italiani sono disinformati. Credono agli slogan (“prima gli italiani”) perché non sono a conoscenza dei fatti, che potrebbero essere così riassunti: prima i soldi e, molto dopo, gli italiani. Ma forse, alla fin fine, i soldi servono proprio a questo: a fabbricare un consenso immeritato, a scalare il potere.

Credo che Alberto da Giussano, che alcuni identificano nel guerriero con la spada sguainata del logo leghista, si stia rivoltando nella tomba, a sapersi ostentato sul bavero di questi suoi emuli.

E, in confidenza, comincio a credere che anche la Madonna, nonostante la sua misericordia, ultimamente sia un po’ seccata di certe strumentalizzazioni elettorali.

Sterco del diavolo? aveva ragione San Basilio.

Ma non tutto è perduto: come dicono a Napoli, “lassa fa’ ‘a Maronna”.

di Cesare Pirozzi

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