Non solo immigrati. Ecco come Salvini sfrutta i tifosi per creare consenso

Era il dicembre dello scorso anno, la Curva Sud del Milan festeggiava i cinquant’anni di attività. Una compagine di ultras longeva, “una delle realtà più belle del calcio europeo”. A dirlo non era un tifoso rossonero, o per lo meno non uno qualunque. Era direttamente il Ministro dell’Interno Matteo Salvini, invitato all’evento dagli esponenti del tifo organizzato. Forse direttamente da Luca Lucci, detto “il Toro”, uno dei leader della curva. È una delle figure più carismatiche del settore, ha tre Daspo sulle spalle, una condanna per aggressione ed è stato indagato insieme ad altre 21 persone all’interno di un’operazione in cui vennero sequestrati 600 chili di hashish, marijuana e cocaina. È lui ad accoglierlo, a stringerlo, ad abbracciarlo. E a chi gli ricorda i suoi, e di molti altri esponenti, contatti con i clan di ‘ndrangheta, le denunce, le condanne, Matteo Salvini risponde così: “Sono un indagato in mezzo agli indagati”.

La macchina del consenso del leader della Lega passa anche attraverso gli stadi. Del Milan, squadra di cui è tifoso, ma anche del resto d’Italia. Soprattutto a Roma, sponda Lazio: “Magari lo potessimo incontrare – continua Diabolik – gli potremmo raccontare tutte le problematicità che incontriamo e tutta la repressione che subiamo qui a Roma da anni, quale nessuna altra curva ultras. Faccio un esempio: noi qui a Roma non possiamo fare nulla, ma se un milanista viene a Roma può accendere una torcia e nessuno gli dice nulla. Ci sono atteggiamenti diversi. Però che sia chiaro anche qui sarebbe in mezzo a pregiudicati e indagati”. A parlare, sempre nel dicembre 2018, era Fabrizio Piscitelli, Diabolik, il capo ultras laziale recentemente assassinato e i cui funerali si sono svolti tra saluti romani e minacce a Forze dell’Ordine e giornalisti. Nell’ovvio e assurdo silenzio di Salvini. Il curriculum di Piscitelli non è semplicemente quello di tifoso: dai rapporti con Massimo Carminati alle minacce a Lotito, dallo spaccio ai contatti con la camorra.

Non ci sono solo gli immigrati da sfruttare per creare successo politico. C’è anche la questione calcistica, uno degli altri punti forti del nostro paese. Salvini la coccola, la corteggia. Partecipa alle feste del tifo organizzato, si fa vedere come uno di loro. “Gli unici che ci hanno messo cuore, passione, grinta e idee, anche stasera, sono stati i tifosi Milanisti” twittava dopo una sconfitta della sua squadra il Vicepremier. Mosse studiate, parole precise.

Ma se da un lato Salvini partecipava alle feste degli ultras, prometteva impegni, abbracciava sciarpe, dall’altra preparava la mazzata. Quella del Decreto Sicurezza, ad esempio, dove tra le assurde norme contenute anche quella relativa ai Daspo. Chi ne aveva ricevuto uno addirittura 30 anni fa ha il divieto di abbonamento allo stadio. “Ognuno si fa fotografare con chi gli pare – ha detto Lorenzo Contucci, avvocato penalista specializzato in legislazione legata al mondo del tifo – Quello che osservo dal punto di vista tecnico è che qua non si parla di politica né di ultras ma di giustizia e logica. Le violenze degli ultras secondo le statistiche dello stesso ministero dell’Interno sono in fortissimo calo, ma immigrati e ultras sono due tipici spauracchi da agitare per raccogliere consenso. Gli ultras peraltro non interessano agli stessi settori politici che poi invece si allarmano quando certe norme dallo stadio vengono estese alle piazze”.

Carne da campagna elettorale, gli ultras e il calcio come gli stranieri e l’immigrazione. Da sfruttare per incamerare consenso.

di Lamberto Rinaldi

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