Una gabbia per due

La Striscia di Gaza, un fazzoletto di terra schiacciato tra Israele e l’Egitto, è una grande gabbia dove sopravvivono oltre un milione e 700 persone. Qui, nel 2018, si è registrata una crescita negativa dell’8%, i due terzi dei giovani sono disoccupati e il 50% della popolazione si pone sotto la soglia di povertà.

Fino alla primavera scorsa, in quello che è un grande ghetto fatto di violenza e miseria, decine di animali condividevano la stessa sorte, fatta di reclusione e privazioni, di questa sfortunata umanità trascorrendo la loro esistenza rinchiusi in quello che era considerato il peggiore zoo del mondo.

Lo zoo di Rafah nella Striscia di Gaza meridionale, nei suoi momenti d’oro, “ospitava” centinaia di animali ma la guerra e il blocco economico ne avevano fatto un luogo dell’orrore, noto per i suoi animali emaciati e anche perché, quando questi morivano per fame o sotto i bombardamenti, i loro cadaveri erano esposti al pubblico malamente impagliati.

Dopo le proteste internazionali per le condizioni di vita degli animali sopravvissuti, ad aprile di quest’anno l’organizzazione benefica internazionale per i diritti degli animali Four Paws ha raggiunto un accordo economico con i proprietari dello zoo.

Four Paws ha pagato, prima della chiusura della struttura, oltre 50mila dollari per le cure mediche, il cibo e la retribuzione dei custodi. Ha poi trasferito tutti gli animali, ricevendo in cambio l’impegno che lo zoo avrebbe chiuso per sempre.

Ma a settembre lo zoo è stato riaperto con due leoni e tre cuccioli, tutti costretti in gabbie di pochi metri quadrati.

Nonostante i nuovi, che sono poi i vecchi, proprietari affermino che la riapertura dello zoo non sia legata a interessi economici ma alla volontà di offrire distrazioni ai Palestinesi della Striscia, il sospetto è che il vero obiettivo sia quello di costringere le organizzazioni animaliste a replicare l’iniziativa di Four Paws e a sostenere finanziariamente lo zoo per la cura e la liberazione degli animali.

In questa triste storia abbondano i paradossi.

Il primo è che un popolo confinato in una gabbia, possa ricavare divertimento dalla reclusione degli animali, l’altro è che, purtroppo, nessuno dei trattati internazionali firmati negli ultimi decenni sia stato in grado di alleviare le inumane condizioni di vita della popolazione palestinese.

Animalisti battono comunità internazionale 1 a 0.

di Enrico Ceci

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