Cimitero del mare

Il cimitero più grande del mondo: mare nostrum. Il Mediterraneo non riesce a contenere il numero sempre crescente di morti affogati. Donne e bambini, uomini e ragazzi, nelle profondità marine ci sono tutti, genti di tutte le età. Persone. Una umanità vasta e disarticolata, ma una umanità di persone che come noi amano la vita, eppure ora giacciono in fondo al mare. Polmoni pieni di acqua salata, corpi martoriati e scarnificati dai morsi dei pesci che si cibano di carni in decomposizione. Pesci che poi arrivano sulle nostre tavole, cucinati da chef stellati. Nessuno dice nel menu che i pesci del Mediterraneo mangiano carne umana. Laggiù, in fondo a questo mare così blu c’è il dramma di interi popoli. La guardia costiera effettuando un “sotto luogo” negli abissi al largo di Lampedusa, alla ricerca dei corpi del naufragio del 7 ottobre, si è imbattuta in una scena drammatica, talmente drammatica che ne ha secretato le immagini.  A sessanta metri di profondità, i sommozzatori hanno pianto nel vedere le immagini di corpi fluttuanti e gonfi. Ma una immagine più forte delle altre, ha tolto il fiato, da rimanere impietriti. Sul fondo, il corpicino prono, i piedi nudi, le mani viola, aperte verso l’alto. La testolina coperta dal cappuccio della felpa, il viso, il piccolo viso, orribilmente deformato dall’acqua, dai pesci e dalle correnti, poi il corpo della mamma che l’ha tenuto stretto fino all’ultimo attimo di vita. Le braccia aperte di un bambino che la mamma ha tenuto stretto a sè, anche in fondo al mare. Per proteggerlo, che era già morto. Lo ha tenuto stretto, anche quando era sul fondo, per non lasciarlo andare via. Per non lasciarlo solo, in balia della corrente. Per fargli compagnia, per stare insieme, da morti, visto che in vita nessuno voleva accoglierli. Barconi e gommoni alla deriva, senza un porto cui approdare. Senza una mano tesa a dare conforto. Solo la forza di una madre che annega con il figlio, lo tiene a se, lo scalda in quelle acque gelide in profondità difficili da raggiungere. Otto giorni di ricerche, i sommozzatori della guardia costiera recupereranno i loro corpi, per una ultima degna sepoltura a ciò che rimane di un corpicino bambino e una mamma che lo ha tenuto stretto. Forse li seppelliranno insieme, forse meritano in morte, ciò che la vita gli ha negato. Il naufragio del 7 ottobre al largo di Lampedusa, decine di morti, moltissime donne, tanti bambini. Tanto orrore. Tanta indifferenza. Corpi straziati, con le braccia rivolte verso il cielo, azzurro come il mare, senza distinzione. Dodici corpi recuperati, di donne, giovani donne, partite dalla Libia su un barcone di 9 metri. Ancora mancano 17 persone, che ancora sono in fondo al mare. Il maltempo rallenta le ricerche e il recupero, ma i sommozzatori hanno detto che riporteranno i superficie quei corpi, non li abbandoneranno ai pesci. La mamma abbracciata al suo bambino tornerà a casa, per respirare l’aria, che tanto gli  è mancata. A sessanta metri un sommozzatore può resistere solo cinque minuti, sarà una operazione complessa, ma li tireranno sù. A sei miglia  a sud di Lampedusa, il dramma si consuma nell’orrore e nella indifferenza di governi che cercano voti e consensi sulla pelle dei bambini e delle donne. L’orrore della politica che fa della politica la vergogna della umanità.

di Claudio Caldarelli

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