La tassa del 5.5% in Germania. E da noi?

Nello scorso agosto, nei giorni in cui qui da noi, per paura (per non dover affrontare l’aumento dell’Iva) si suicidava politicamente il ministro dell’Interno, avveniva in Germania un fatto politico di storico rilievo e cioè l’approvazione da parte del governo di un disegno di legge da sottoporre al Bundestag (il parlamento tedesco) per la eliminazione della Soliraditatszuschlag-Soli, la tassa per la riunificazione Est-Ovest.
Essa è stata applicata dal 1995 sui redditi superiori all’equivalente in marchi di 16.000 euro attuali, con una aliquota pari (con qualche riduzione per i livelli più bassi) al 5.5% del reddito per singolo contribuente.
Il gettito totale a carico dei contribuenti tedeschi ad oggi, è stato superiore a 2.000 miliardi di euro. Del resto il costo della riunificazione tedesca in termini di capitali arrivati in Germania è stato per il mondo intero di oltre 1.200 miliardi di euro (di cui 39 dall’Italia).
È stato uno sforzo imponente, quello della popolazione tedesca, che dal 1995 ad oggi ha portato la Germania unificata ad essere paese leader in Europa.
La crescita non è stata peraltro omogenea, visto che nei Länder ex Ddr:
• si trovano solo 37 delle 500 imprese più importanti del paese;
• politicamente c’è la crescita dell’estrema destra (oltre il 25%);
• c’è stata e continua la migrazione interna verso l’Ovest (quasi 2 milioni di persone).

Qui da noi, forse per il periodo estivo, forse per il preminente interesse della fine del malgoverno giallo-verde, a questa decisione del governo tedesco è stato dato pochissimo rilievo.
Si è dato invece molto rilievo all’anniversario della caduta del muro a Berlino il 9 novembre 1989.
Eppure non sarebbe stato tempo perso riflettere sullo sforzo che in Germania è stato fatto per 25 anni con l’obbiettivo della riunificazione.
Non sarebbe stato tempo perso perché anche in Italia c’è una riunificazione di cui si è parlato addirittura già dallo scorso millennio, quella tra le nostre economie delle regioni del Sud e quelle del Nord.
E si continua a parlarne, anche in riferimento a gravi congiunture come la situazione dell’Ilva, tra produzione industriale e risanamento ambientale.
Ma in quanto ad azioni vere, non si vede niente. Incidentalmente, sarebbe interessante sapere quanto è costato e quanto si è realizzato nel recupero ambientale a Porto Marghera, nel Nord Italia …
E allora, in attesa che qualcosa di serio si realizzi contro l’evasione fiscale, ho voluto vedere se noi contribuenti, quelli onesti, che paghiamo le tasse, che come insegnava Kennedy ci chiediamo non quello che l’Italia può fare per noi ma quello che noi possiamo fare per l’Italia, ecco, ci chiediamo se non sarebbe possibile, qui da noi, fare qualcosa come in Germania, guardando al futuro, non alla piccole beghe elettorali da osteria, sulle auto aziendali o sulle merendine.
Il riferimento temporale è il 2017. I contribuenti in Italia erano poco più di 41 milioni. Di essi:
• il 5,32% e cioè quasi 2,200.000, avevano un reddito compreso tra 50.000 e 100.000 euro;
• l’1,13% e cioè quasi 466.000, avevano un reddito compreso tra 100.000 e 200.000 euro;
• lo 0,22% e cioè quasi 91.000 persone, avevano un reddito compreso tra 200.000 e 500.000 euro;
• lo 0,09% e cioè poco più di 37.000 persone avevano un reddito superiore a 500.000 euro.

Ho pensato poi che da noi una tassa di scopo del 5,5% come quella tedesca sarebbe sembrata troppo pesante, ed ho preso come riferimento un valore del 2,0%.
Il contributo annuo risulterebbe di:
• mille euro per un reddito di 50.000 euro,
• duemila per un reddito di 100.000 euro,
• quattromila per un reddito di 200.000 euro,
• diecimila per un reddito di 500.000 euro
Mi pare che siano cifre non sconvolgenti. Naturalmente, nulla sarebbe dovuto per redditi annui inferiori a 50.000 euro, a differenza della tassa tedesca che partiva da 16.500 euro.

Sapete quale sarebbe il valore che noi contribuenti onesti potremmo dare allo stato con questa tassa di scopo?
Sarebbe più di CINQUE MILIARDI DI EURO ALL’ANNO.
E questo sarebbe possibile ogni anno.
Tanto per capirci, nel primo anno, nel 2020, noi potremmo comprare, aggiungendo anche un inizio di risanamento ambientale, l’intera proprietà dell’Ilva. Per poi regalarla ai dipendenti (se avessero il coraggio di una autogestione, ma non pare siano i tempi giusti) oppure anche allo stato, un stato che avesse per guida gente che non pensa al proprio immediato profitto personale-elettorale ma che vede la politica come (sono parole del card. Bassetti) “una missione, non una ricerca di tornaconto, non tentazione del consenso facile. Una tensione verso i poveri, i precari, gli sfruttati, gli emarginati, i delusi, i fragili.”

Certo che le manifestazioni politiche di oggi in Italia sono ben lontane da questa tensione.
E c’è solo da sperare che, dopo la legge di bilancio, ci si renda conto che anche dopo una eventuale crisi di governo ci sarà bisogno di una legge elettorale che consenta di andare a votare.
Con essa, potremmo aspettarci di tutto. Anche le dimissioni del Presidente della Repubblica.
Con esse la data da molti voluta per avere un capo dello stato non espressione di un parlamento di destra, sarebbe anticipata.
E le forze, i partiti, i movimenti che non trovano la capacità di fare insieme neanche le cose su cui sono d’accordo, potrebbero andare al voto.
Al voto, molti ne parlano. Di esso però tutti hanno una maledetta paura.

di Carlo Faloci

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