L’inno contro la violenza delle donne che dal Cile conquista il mondo

Dal Cile la performance di protesta contro sessismo e stupri ha girato il mondo attraverso i social mobilitando milioni di donne, è l’inno di rivolta contro l’abuso sessuale e l’impunità della violenza sulle donne che è diventato un flash mob virale, che riempie e rimbomba nelle piazze di tutto il mondo.
Da Santiago del Cile la ribellione è arrivata fino a Sidney, passando per il Messico, Colombia, Francia, Spagna, Regno Unito, India, Berlino, Parigi, Bruxelles, persino la Turchia e ora in Italia. Il 6 dicembre erano a Roma, il 7 a Milano. È l’inno di protesta lanciato dal collettivo cileno Las Tesis di Oviedo. La canzone durante il fine settimana è stata urlata da centinaia di donne, come uno slogan, un grido che valicasse ogni sorta di confine contro la disuguaglianza sociale. Tutte sono unite da una stessa convinzione, spiegata anche nel brano: “Non è stata colpa mia, né di dove ero, né di come ero vestita. Lo stupratore sei tu”.
Il brano è accompagnato da una coreografia che in pochi giorni ha fatto il giro dei social, arrivando a invadere le bacheche di tutto il mondo. “Il patriarcato è un giudice che ci giudica solo per essere nate, e la nostra punizione è la violenza che vediamo ora. Vuol dire femminicidio, impunità per il nostro assassino, vuol dire scomparire, vuol dire stupro”, cantano insieme centinaia di donne di tutto il mondo.
Tamburi, ritmo, occhi bendati con una fascia nera, intreccio di corpi e parole che si muovono all’unisono chiariscono che: «L’assassino sei tu. Lo stupratore sei tu».
«El violador eres tu!» (lo stupratore sei tu), questo il titolo della coreografia, è stata interpretata per la prima volta il 20 novembre 2019 nelle strade della città portuale sulla costa cilena. Vestite di nero, con una fascia nera sugli occhi e un foulard rosso al collo, le dimostranti hanno ripetuto il testo che denuncia lo Stato oppressivo, accusa il fallimento da parte del sistema giudiziario di proteggere le donne e tutelare i loro diritti, ma vuole anche parlare della cultura della violenza che ancora oggi è intrinseca nelle maglie della società e anzi prospera, dalla normalizzazione dell’atto in sé fino all’umiliazione, spesso colpevolizzante, che viene inflitta alle donne dopo la denuncia.
Un testo che presenta la violenza sessuale come un problema politico, non morale. Sotto accusa le istituzioni, dalla polizia alla magistratura, violazioni sistematiche dei diritti delle donne.
Il flash mob ha mobilitato prima il Cile dove con la repressione delle proteste, le violenze a seguito degli arresti hanno iniziato ad essere denunciate perché usate come atto intimidatorio da parte della polizia. Tutto ciò però, a sorpresa, ha rotto le barriere dei confini nazionali e ha risuonato non solo in altri paesi del Sudamerica, ma in tutto il mondo. Perché, come confermano i dati delle Nazioni Unite, quello della violenza sulle donne è un fenomeno globale: un terzo delle ragazze e delle donne subisce almeno una volta nella vita una forma di violenza fisica o sessuale.
Ciò che tutti pensavano fosse una fioca ribellione di poca importanza ha invece toccato la coscienza di molte donne, le ha turbate, ha instillato in loro la rabbia, la voglia di combattere pacificamente in solidarietà, le ha fatte sentire un gruppo, pronte ad impegnarsi nello stesso modo, con un ballo danzato all’unisono, cantando con la stessa coreografia perché fosse chiaro il messaggio finale.
Il problema riguarda tutte le donne, chi più chi meno in base ai regimi politici che governano i luoghi in cui vivono ma tutte rivendicano rispetto e libertà.
Dunque i movimenti della coreografia ripetuti in dozzine di città hanno un unico filo conduttore: puntare il dito verso chi accusa le vittime rendendole vittime ancora e ancora una volta. Violenza fisica su violenza psicologica in una società globalizzata sempre più intrisa di maschilismo e misoginia, sempre pronta a minimizzare l’accaduto con l’impunità o punizioni irrisorie. Sempre pronta a puntare, loro, il dito sulla vittima rea di “essersela cercata”, di vestire in un certo modo, di andare in giro ad orari non consoni.
E ora, per la prima volta nella storia, quel dito accusatore è puntato da tutte le donne del mondo contro il “sistema violentatore”, non solo gli esseri di sesso maschile ma contro tutti coloro che hanno permesso il proliferare di questo reato e la sua ingiustificata impunità.
E come sempre accade, quando le donne si coalizzano, anche a distanza, anche allontanate da chilometri di continenti irraggiungibili o nazioni lontanissime, sanno diventare una sola voce che grida con impeto e audacia la rivendicazione dei loro diritti.
Tutto questo non è solo emozionante ma fa paura.
Il potere della donna ha sempre suscitato timore e oggi forse, un po’ di più, grazie ad ognuna di noi.

di Stefania Lastoria

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