Il MES spiegato a un bradipo

Bradipo, dal geco antico bradýs, lento, poús, piede. Piede lento, ma per estensione metaforica la lentezza non è solo del piede. MES, Meccanismo Europeo di Stabilità, dispositivo per impedire che la eventuale crisi economico-apoplettica di un paese dell’Unione possa scatenare una reazione a catena tale da trascinare al collasso tutti gli altri. Lo chiamano anche fondo salva-Stati, o salva-banche. Internazionalmente è conosciuto con l’acronimo inglese di ESM, European Stability Mechanism. Solo il 6% degli italiani afferma di capirne qualcosa. Il restante 94% è, siamo bradipo. La difficoltà a comprendere dipende dalla elevata complessità tecnico-finanziaria della materia. Noi, però, dovremmo innanzitutto capire quello che precede l’impenetrabile intrico finanziario. Capire, cioè, cosa c’è nel sottosuolo dell’epoca su cui il MES e altri simili meccanismi poggiano le proprie fondamenta.

L’Unione Europea è un accordo politico tra Stati fondato non sulla gloriosa scienza architettonica della politica ma su quella detta triste dell’economia. La politica ha sempre non solo diviso ma anche contrapposto violentemente, sanguinosamente gli Stati europei. Soprattutto la cara vecchia categoria dell’autonomia del politico, nell’attuale era tecnologica, non poteva più garantire alcun vincolo o fondamento certo di rispetto delle regole stipulate per edificare un patto di unione continentale. C’era bisogno di un criterio più saldo, oggettivo, non soggettivo, scientifico, non empiricamente approssimativo, aleatorio come lo è quello della politica. La matematica del dare e dell’avere alla base economica era il fattore razionalmente più rigoroso su cui basare il difficile accordo storico-geografico. Ossia, sulla politica scapricciatevi come vi pare, ma sui soldi non si scherza. Madamina, il catalogo è questo. La rivendicazione di totale, intangibile libertà di decisione di ogni singola compagine nazionale, dei suoi capi, indipendentemente da ogni altro fattore, da quelli etici a quelli diplomatici ed economici, finisce dove comincia il portafogli degli altri.

Questo è il sottosuolo del MES, la questione è più semplice di quello che si crede. Se si vuole stare in Europa un meccanismo simile è indispensabile, ineliminabile. Dentro la cornice di questa necessità inderogabile si possono discutere, contrattare tutti gli specifici aspetti tecnico-finanziari che si vuole, ma il Dispositivo in sé è parte integrante del fondamento stesso dell’Unione. Chi vuole scardinarlo o abrogarlo mira in realtà a sfondare l’Europa. Si vuole, ma soprattutto si può, realisticamente, tornare a un’unione continentale su base meramente politica. No, perché oggi ogni singolo atto politico non è che un’ulteriore palata di terra scavata per la fossa stessa della politica. Tutta la rissa intorno al MES, infatti, non fa che complicare ancora di più la sua complessità tecnica, con l’infittirsi di sotto clausole, sub specificazioni parametrali che ne irretiranno alla fine la stessa autentica interpretazione da parte degli esperti. Figuriamoci dei bradipi. Più si complica tecnicamente il Dispositivo, più esso si sottrae alla comprensione politica, democratica dei popoli. Più si raccolgono firme contro di esso tra quel 94% che non sa neanche cosa sia il significato per esteso dell’acronimo MES, e che esso addirittura esista, più la politica si sta scavando la fossa sotto i piedi.

Il MES stabilisce un protocollo di procedure che consentono a uno Stato in default economico di richiedere sì agli aiuti e all’assistenza finanziaria europea, ma di sottoporsi contestualmente anche a una serie di misure e di riforme, soprattutto su disavanzo e debito pubblico. Ossia di sottomettersi a quanto dettato dalla famigerata Troika, composta da Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale, Commissione Europea. Il MES è stato varato nel 2012, approvato da varie governi e forze politiche italiane anche d’opposizione. Le trattative in atto in questo periodo a Bruxelles, da parte del premier Conte e del ministro Gualtieri, hanno già ottenuto di rendere più flessibili e soprattutto non automatiche le procedure e le misure per il rientro. In quanto all’intervento diretto della Troika, esso era stato già precedentemente accantonato nella stessa sede europea. C’è solo da ricordare che la Banca Centrale Europea per statuto non può comportarsi come la Federal Bank americana nei confronti degli Stati federati. Né il Fondo Monetario Internazionale dispone di risorse monetarie tali da fare fronte alla crisi di un Paese di una certa dimensione, quale l’Italia.

Altro meccanismo sconosciuto e incomprensibile al bradipo, ma su cui si sono alzate alte grida è quello delle CAC, o Clausole di Azione Collettiva. È un dispositivo che si applica solo su tutti i Titoli di Stato la cui scadenza supera i 12 mesi, mentre la grande maggior di essi ha scadenza annuale. Inoltre esclude qualsiasi forma di retroattività dalla data della loro entrata in vigore, il 1° gennaio 2013. Prevede che l’Emittente, ossia lo Stato stesso, possa modificare o ricontrattare la quota percentuale degli interessi da pagare al possessore, e persino la modalità in cui pagarli; la possibilità di posticipare sia la data della sua scadenza, sia quella delle cedole via via maturate, anche annullandole del tutto; la facoltà di cambiare la valuta di pagamento. Si chiamano clausole di azione collettiva, perché la modifica dei titoli può essere richiesta e ottenuta da una maggioranza del 75% di loro possessori. Questi, infatti, a fronte del pericolo di vedere completamente svaporati i loro interessi, possono chiedere all’Emittente di ricontrattarli in quantità, quote percentuali e modalità, imponendolo anche alla restante minoranza. Se consideriamo che la maggior dei titoli del debito pubblico italiano sono in pancia alle banche, ecco che tale percentuale di detenzione si dimostra niente affatto elevata. Anche se in Italia le Cac non sono state mai applicate, esse fanno parte del MES, quale ulteriore garanzia di blocco di un’ulteriore crescita del debito pubblico che aggraverebbe la situazione debitoria dello Stato sotto procedura d’aiuto.

Non solo il MES ma la categoria stessa del Dispositivo, nella sua alta complessità gestionale da parte di ristretti organismi tecnici per lo più sconosciuti al largo pubblico dei bradipi, non eletti ma nominati e autoreferenziali, travalica completamente la dimensione politica e democratica che è il maggior portato storico della civiltà europea e occidentale. Ma tale travalicamento è precisamente l’esito cui inesorabilmente ci ha condotto tutto il precedente percorso della nostra civiltà. Indietro non si può tornare. L’unica possibilità è pensare, tessere un MES, Meccanismo Europeo Sedimentale della nuova costituzione e convivenza civile tra l’uomo e ogni altro aspetto della Terra che abitiamo. Anche perché dopo Brexit e il rafforzamento dell’asse anglo-americano, l’Europa si trova a fare i conti faccia a faccia con sé stessa e dentro sé stessa. E se non li farà in modo autentico, provvederà a farglieli chi vuole definitivamente lacerarla quale entità politica ed economica di grandezza planetaria.

di Riccardo Tavani

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