Stuprata dal branco a marzo, 23enne bruciata viva mentre va al processo.

Una ragazza di 23 anni è sopravvissuta a una violenza sessuale di gruppo avvenuta a marzo, violenza filmata come trofeo da esporre agli amici o in pubblico, per farsi “grandi” nella loro inutile piccolezza, video che invece li ha incastrati. Un episodio di cui si potrebbe parlare senza citare il continente, il luogo, il paese, la città perché ormai uguale in tutte le parti del mondo.
Ma ogni parte del mondo ha la sua cultura radicata e ben salda al suolo.

Dogmi tatuati sulla pelle perché in alcuni angoli di questa terra, le donne sono meno di niente, schiave che non devono opporsi o pensare, che non hanno il diritto di ribellarsi, che non devono sviluppare un pensiero critico.

Mute. Così è da sempre, forse, così sarà per sempre se la comunità internazionale non si scuote. Ci vorrebbe in ognuno di noi un’interiore scossa tellurica per farci svegliare dal torpore in cui ci siamo persi.

L’episodio in questione è avvenuto in India. Dopo nove mesi, il giorno stesso del processo, questi esseri riprovevoli, hanno raggiunto la ragazza e l’hanno bruciata viva mentre si stava recando in tribunale: questa violenza in crescendo è una delle tante accadute in India. La 23enne, che vive nel villaggio di Unrao, nello Stato centrale dell’Uttar Pradesh, è ricoverata in un ospedale specializzato di Lucknow in prognosi riservata per le gravi ustioni riportate sul 70 per cento del corpo.
La vittima, sotto anonimato, a suo tempo aveva trovato il coraggio di denunciare i suoi stupratori, gesto coraggioso per quei posti, per quella cultura, per quel modo di “non” considerare e rispettare la donna. Uno era fuggito e l’altro stava in carcere fino alla settimana scorsa, quando è uscito su cauzione. Ieri, 5 dicembre 2019, ci sarebbe stata la prima udienza durante la quale tutto sarebbe stato sviscerato e messo agli atti. Sebbene nulla potesse cancellare il torto che quegli uomini le avevano fatto, la speranza che questi pagassero per le loro azioni aveva ridato fiducia nella giustizia alla giovane donna. Finalmente il processo, per chiedere libertà e le giuste pene per i responsabili. Però glielo hanno impedito dandole fuoco. Erano in cinque di cui due gli stessi della violenza di marzo. Hanno avuto la bassezza infame di bruciarla viva prima che raggiungesse il tribunale. La ragazza, con ustioni gravissime rischia la vita in attesa di essere trasportata all’ospedale di Delhi.

I dettagli sono ancora più raccapriccianti, terribili, mostruosi, orridi, raggelanti.

Era l’alba, la giovane stava per raggiungere la stazione dei treni quando il branco l’ha trascinata in un campo, l’hanno presa a bastonate, cosparsa di benzina e poi le hanno dato fuoco. Come fosse sterpaglia o qualcosa di meno.
E questa temeraria e battagliera ragazza, nonostante le ustioni e il dolore, malgrado brandelli di pelle che cadevano a terra come stoffa lacerata dal tempo, ha camminato per circa un chilometro riuscendo a chiamare la polizia per denunciare la violenza e chiedere aiuto. I cinque sono stati arrestati.

Questa giovane donna è soltanto l’ultima vittima di una lunga serie di attacchi brutali alle donne. L’India “gode” del primato di una media di ben 92 stupri al giorno. Si, avete letto bene. Al giorno. Succede ovunque, nei villaggi così come nelle grandi città. E la polizia, più che occuparsi delle cause e della prevenzione, invita le donne a rincasare presto e a non utilizzare mezzi pubblici. In altri termini, invece di concentrarsi sulle dinamiche malate della società indiana, chiedono alle donne di modificare le loro abitudini di vita, di farsi più in là, di non mostrarsi in pubblico per non correre rischi.
In altre parole stanno loro dicendo di nascondersi, di non esistere, di non vivere. Subdole e bieche giustificazioni di una società misogina.

E casi come questo sono all’ordine del giorno, episodi di violenza che spesso finiscono con la morte della vittima. Eppure persino la pena capitale, proposta dal governo non sembra essere la soluzione ottimale per una società in cui la cultura considera le donne come un niente da calpestare, usare, sfruttare, uccidere.
E noi che ora stiamo leggendo, volteremo pagina e cancelleremo dalla mente quanto appena appreso. Perché non ci riguarda, perché non è capitato a noi, a una nostra figlia, a una moglie, a una nipote. Chiudiamo il piccolo cancello del nostro giardino curato con fiori di plastica. Ciò che accade al di là di questa staccionata, di questa strada, di questa città, di un altro paese non è affare nostro.

Spegniamo l’anima per sempre, abbassiamo il volume di emozioni ormai sbiadite e sopite, affossiamo i sentimenti. Pupazzi di un mondo alla deriva di cui non ci interessa nulla. Noi, svuotati di tutto siamo complici peggiori di chi quelle violenze le mette in pratica. Perché quei silenzi e quella cecità voluta e cercata sono armi taglienti di delitti di cui siamo responsabili.

E si diventa così, assassini senza sangue.

di Stefania Lastoria

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