Il celibato sacerdotale non è un dogma

Per il Concilio il celibato sacerdotale è un dono, ma non un dogma. Così esordisce don Basilio Petrà, preside della facoltà teologica dell’Italia centrale

Fu Giovanni Paolo II ad approvare il Codice dei canoni delle Chiese cattoliche d’Oriente in cui si stabilisce che tra preti celibi o preti sposati non c’è differenza qualitativa. Indubbiamente un dono, il celibato, ma non può essere confuso in alcun modo con i dogmi della Chiesa, che deve poter adeguare le nuove sfide globali con una presenza partecipata.

La necessità di essere presente in ogni dove, per la Chiesa, è un fondamento portante che non lascia spazio ad alcun dubbio. Diffondere il credo sociale, la dottrina partecipativa, l’inclusione e l’uguaglianza di donne e uomini, non può prescindere dal riconoscere l’urgenza di una riflessione sul significato del celibato. Don Petrà sottolinea su Avvenire, il decreto conciliare Presbyterum Ordinis afferma con chiarezza che “ la perfetta e perpetua continenza per il Regno dei cieli…non è certamente richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, come risulta evidente se si pensa alla prassi della Chiesa primitiva e alla tradizione delle Chiese orientali”.

Anzi i preti sposati di quelle Chiese vengono esortati nello stesso documento conciliare a “perseverare nella Santa vocazione, continuando a dedicare pienamente e con generosità la propria vita per il gregge loro affidato”. I padri conciliari avevano colto la pienezza della vocazione in ogni caso, dice ancora don Petrà,nel Codice dei canoni delle Chiese cattoliche di rito orientale si spiega con chiarezza e con ricchezza teologica che andrebbe fatta conoscere a tutti, che tra matrimonio e ordine sacro non solo non c’è alcuna contraddizione ma rappresentano un approfondimento reciproco del triplice dono sacerdotale, profetico e regale di ogni battezzato”. Questi Codici sono stati approvati e firmati da

Giovanni Paolo II. La prassi di rito latino non è l’unica strada possibile. Tra le 19 Chiese cattoliche di rito orientale, solo le sue indiane non hanno preti sposati. Per tutte le altre la paternità sacerdotale è una conseguenza della paternità familiare. Solo chi era buon marito e buon padre di famiglia poteva essere ordinato prete, secondo il principio paolino. Nelle Chiese orientali l’esemplarità della vita coniugale diventa esemplarità della vita sacerdotale, in perfetta continuità. Tanto che prima ci si sposa, poi si viene ordinati preti. E quindi dobbiamo pensare che, se nascono nella verità, entrambi le vocazioni siano frutto dell’ascolto della volontà di Dio.

Coloro che accusano Papa Francesco si eresia solo perché ammette l’ipotesi di valutare questi aspetti del sacerdozio, sono persone, di chiesa, che ignorano tradizione, magistero e teologia delle Chiese Cattoliche d’Oriente. In quelle realtà, in quella Chiesa, il ministero familiare e ministero sacerdotale uxorato realizzano pienamente il senso della missione ecclesiale in una logica di continuità che arricchisce la coniugalità e la ministerialità del prete. In sintesi, la legge del celibato ecclesiastico non è di natura divina e dare identica dignità ai due carismi, quello celibatario è quello uxorato, non rappresenta un rischio nè per la tradizione latina né per l’evangelizzazione.

di Claudio Caldarelli

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