Libia: una nazione, due governi e la guerra che brucia il paese

A otto anni dall’uccisione del colonnello Gheddafi, mentre piccole e grandi potenze indicono incontri e conferenze per meglio spartirsi le macerie inzuppate di gas e petrolio della Libia,dobbiamo chiederci cosa sia andato storto e perché la rivoluzione libica – iniziata sulla scia delle primavere arabe nel febbraio del 2011 – che per otto mesi aveva visto sullo stesso fronte studenti, operai, imprenditori e anche ex militari sia sfociata in un tale disastro.

La Libia è oggi un campo di battaglia, un paese lacerato da divisioni politiche e militari dove due governi contrapposti si contendono il potere e il controllo delle risorse e combattono una guerra per procura.

Secondo molti analisti ciò che rendeva la Libia diversa dai suoi vicini era la mancanza di qualsiasi forma di vita politica organizzata. Mentre in Tunisia e in Egitto –  due paesi comunquegovernati da regimi autocratici – si tenevano elezioni, esistevano sindacati e, dunque, una società civile, nella Libia di Gheddafi non esistevano partiti o istituzioni politiche e tutto il sistema ruotava intorno al Colonnello. Alla sua morte l’intero sistema è collassato.

Un Paese reso acefalo avrebbe avuto bisogno, per sopravvivere come entità statale, di una strategia, di una visione sul suo futuro economico e politico, dell’avvio di un processo di riconciliazionee giustizia.

Purtroppo, né il governo di transizione né i paesi Nato – che con i loro bombardamenti avevano cambiato la natura stessa della rivoluzione libica – avevano predisposto un serio e credibile piano per una Libia post-Gheddafi.

Questa imperdonabile mancanza e la totale impunità concessa ai combattenti ribelli hanno negato al paese nordafricano un futuro di pace e ucciso l’aspirazione ad uno stato moderno e democratico.

Nel post Gheddafi, mentre i lealisti venivano processati e accusati di omicidio – anche quelli che avevano ucciso solo in battaglia – ai miliziani veniva concessa da un sistema giudiziario, eredità del vecchio regime e utilizzato come strumento di repressione, una totale impunità.

In breve le milizie si sono trasformate nell’unica forza di sicurezza. Organizzazioni capaci di garantire agli armati prestigio,reddito e potere. Tutto è avvenuto anche grazie alla Nato che, volontariamente o no, ha evitato di mettere in sicurezza l’enorme arsenale del vecchio regime.

In questa situazione esplosiva le elezioni, imposte dall’esterno, del 2014 hanno squassato gli instabili equilibri del governo di transizione e dato l’avvio ad una nuova guerra civile tra due parti – entrambe prive di legittimità democratica – colpevoli allo stesso modo di sparizioni forzate, detenzioni illegali, omicidi, rapimenti, torture ed estorsioni.

E’ possibile che, nonostante le attuali rivalità politiche, le divisioni e l’escalation militare, i Libici non rimpiangano i tempi di Gheddafi anche perché la situazione attuale è l’ultimo lascito di 42 anni di regime.

E’ difficile ipotizzare cosa i prossimi mesi e anni riserveranno alla Libia. Sicuramente è possibile trarre un insegnamento dal fallimento della rivoluzione libica: meglio cercare il cambiamento in modo pacifico, respingere la violenza e, soprattutto, le interferenze straniere.

 di Enrico Cecità

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