Sinodo dei giornalisti: ripartire dalla Carta di Assisi per difendere la convivenza civile

“Ponti non muri” questa la sintesi dei messaggi di Papa Francesco in occasione delle giornate della comunicazione e questa è anche la sintesi della Carta di Assisi “Le parole non sono pietre”, ideata, scritta e fortemente voluta dalla rivista San Francesco e dall’associazione Articolo 21.
Quando le parole vengono usate per realizzare i ponti favoriscono l’accoglienza, il reciproco ascolto, l’inclusione e la pace.
Chi, invece, le usa per fomentare odio e intolleranza le utilizza per ammazzare le diversità e le differenze, di ogni natura e di ogni colore.
La carta di Assisi è già stata sottoscritta da credenti, diversamente credenti e non credenti.
Tra loro teologi, giornalisti, artisti, rappresentanti delle associazioni del volontariato e della società civile, donne e uomini che credono in una informazione senza bavagli e rispettosa della dignità di ciascun essere umano, a cominciare dai più deboli, dai senza diritti, da quelli che Francesco ha definito “Scarti umani” che qualcuno vorrebbe oscurare e buttare nel cestino dei rifiuti.
“Illuminare le oscurità e le periferie del mondo” deve diventare un imperativo etico, civile, professionale, perché levare la voce ai “Senza voce”, significa condannarli alla inesistenza, alla marginalità, alla disperazione, che rischia di sfociare nel nichilismo e nel ricorso alla violenza come unica possibilità per conquistare l’attenzione politica e mediatica.
Il populismo estremo sparge parole di odio nel tentativo di catturare consensi, giocando sulle paure dei poveri, tentando di aizzare i penultimi contro gli ultimi, facendo credere che solo i muri potranno metterli in sicurezza e proteggerli dai “Barbari”.
Peccato che ciascuno di noi, in qualsiasi momento della vita, potrà diventare “Barbaro” o differente dai suoi vicini e, se non avrà costruito i ponti della solidarietà, si scoprirà vulnerabile, eliminabile, esposto alla ritorsione e alla vendetta, vittima delle parole e dei gesti di odio.
Quando si può arrivare a mancare di rispetto ad una donna come Liliana Segre, simbolo delle malvagità del Novecento, significa davvero che siamo arrivati sull’orlo del precipizio e che, per citare Primo Levi “Quello che è accaduto una volta, può riaccadere”.
A Liliana Segre, presidente della commissione parlamentare sulle parole di odio, noi porteremo le conclusioni del “Sinodo dei giornalisti” che si svolgerà nel sacro Convento di Assisi dal 24 al 26 gennaio.
Centinaia di donne e di uomini si ritroveranno per analizzare come contrastare il linguaggio dell’odio.
Si ripartirà dalla “Carta di Assisi”, con l’obiettivo di farla adottare dal Parlamento europeo e di trasformarla in un piano d’azione capace di coinvolgere i media, la rete, le scuole, le università, le parrocchie, i centri civici e sociali, senza esclusione alcuna.
Non si tratta di una carta deontologica, ma di un impegno a difendere la civile convivenza e la Costituzione che riconosce l’uguaglianza e i diritti di ciascun cittadino senza discriminazione alcuna.
Le industrie della falsificazione, che sono qualcosa di più complesso della singola notizia falsificata, si propongono di abbattere questo patrimonio di conquiste, di abbattere ogni distinzione tra vero e falso, di “relativizzare” i valori e di cancellare il rispetto delle differenze e il pensiero critico. Chiunque contrasti questo disegno rientra nella lunga lista degli avversari da abbattere: da Francesco ai sindacati, dagli indios ai migranti, dai giovani che amano la Costituzione alla guardia costiera che salva le vite umane.

Di Giuseppe Giulietti per Articolo21

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