Strategia e follia

Concludevano con queste parole un articolo del giugno 2018. “L’America può tornare ad essere davvero Prima, First, solo in una situazione che riconfiguri una qualche grande minaccia mondiale che solo essa è in grado di contenere A chi si può oggi intestarepiù o meno credibilmente – una tale minaccia se non alla Repubblica Islamica dell’Iran? L’Iran può essere oggi elevato a nemico perfetto. Quello che se non esistesse bisognerebbe inventarlo. Quello che ha l’arsenale atomico in pancia senza averlo ancora partorito. Quello in cui addensare e confondere tutta la nube indistinta di califfati, sangiaccati, sultanati, sceiccati, di anonimi Alì, Abdul, Ibrahim e altri lupi solitari, ciecamente ostili all’Occidente, nascosti e armati contro di esso con coltellacci, mitra e camion, fin dentro le viscere storiche delle sue città, della sua cultura, delle sue comunità. Altro che accordarsi! Contro di esso deve esserci e sempre ci sarà e soltanto lo scudo di Capitan America a proteggere il mondo contro la sua criminale follia. Le salmerie europee seguiranno”.

Richiamiamo questo brano di un anno e mezzo fa, perché molti accreditati osservatori, analisti, giornalisti internazionali hanno scritto che Trump – nell’eliminazione del generale Qasem Soleimani – ha agito privo di qualsiasi visione strategica, guidato solo dal cieco impulso di sviare l’attenzione dall’impeachment che sta subendo e imprimere una forte spinta propagandistica elettorale in vista delle prossime presidenziali. No, colpire l’Iran rientra, invece, in suo preciso piano strategico, strettamente legato al conflitto con la Corea del Nord e soprattutto a quello economico-egemonico mondiale con la Cina. Gli Usa per tornare ad accreditarsi quale unica potenza egemonica planetaria hannobisogno di un  nemico dalla cui minaccia tutto il mondo civile abbia necessità di difendersi, rischierandosi dietro e a fianco di una riedizione planetaria del Big Stik, del Grande Bastone armato, ossia della preponderante forza militare americana. E niente meglio che il regime religioso-dittatoriale degli ayatollah offre strategicamente tale occasione. È l’unico modo per riequilibrare i rapporti di forza con la Cina e far abbassare le penne all’arrabbiata atomica al satrapo nordcoreano Kim Jon-un, smembrare definitivamente il polo continentale europeo, facendosurrettiziamente riemergere la Russia ai fasti geo-politici dell’ex impero sovietico. D’altronde è proprio quello che, con la sua America First, Trump mette in gioco per tornare a farsi eleggere.

Dunque non certo di assenza di strategia si deve parlare. Questa è stata delineata da tempo. Inoltre le eliminazioni via drone di terroristi, presunti o tali, non è stato certo Trump a inaugurale. Obama, in tutto il corso del suo mandato, ne ha fatte compiere a migliaia, pure in Iraq, uccidendo ogni volta anche persone totalmente estranee al singolo obiettivo umano da colpire, preventivamente condannato a morte senza alcun processo. Eliminando un alto esponente politico-militare scita, Trump non fa che radicalizzare una tendenza, proprio come anche Obama aveva fatto, ampiamente radicalizzando quella del suo predecessoreBush jr. La stessa cosa, d’altronde, si può del Muro al confine con il Messico, inaugurato da Clinton e proseguito da ogni nuovo successore.

Una linea strategica, però, per attuarsi concretamente, ha poi bisogno di mosse, di azioni tattiche. E le occasioni per operare concrete azioni è proprio l’attualità politica a offrirle via via. Detto diversamente, la strategia, ossia qualcosa di fisso, di prefissato anticipatamente come fine, finalità conclusiva, si avvale del mutevole, dell’hic et nunc, del qui e ora, dell’istante per istante. L’azione – come aveva già analizzato Aristotele – si compie mentre una data situazione è già di per sé in continua, imprevedibile evoluzione, e si fa essa stessa ulteriore mutamento verso direzioni non del tutto dominabili. D’altronde è proprio nel cinema americano che l’eroe entra in azione senza sapere, prevedere bene cosa il suo agire produrrà. Sa solo che lo deve fare, costi quel che costi. Non si poteva certo prevedere che l’eliminazione del generale Soleimani, avrebbe avuto come effettoanche l’abbattimento di un aereo di linea ucraino da parte dell’Iran. E che tale fatto imprevisto ne avrebbe causato un altro, ugualmente totalmente imprevisto, ossia la forte scesa in piazza dell’opposizione interna al regime per chiedere le dimissioni della Guida Suprema Alì Khamenei. L’azione è sempre una scommessa, ha più a che fare con il gioco d’azzardo che con il gioco degli scacchi. Un azzardo, però, con in mano l’asso di bastoni a ogni giocata. Ossia con la mera forza materiale del Big Stik. La strategia, il fine delineato dal pensiero razionale, se non è in sé intelletto già immediatamente muscolare, non ha alcuna possibilità di realizzazione. Al contrario, un’azione può riuscire, sebbene limitatamente, anche al di fuori di un disegno strategico, o fare scaturire quest’ultimo solo a posteriori, in conseguenza degli effetti pratici, della nuova situazione concreta determinatadall’agire. Soprattutto l’azione è indispensabile a rompere proprio una strategia: quella del nostro nemico. Anche non avendone noi una ancora ben delineata, siamo costretti ad agire per non essere annullati da quella avversa.

Non solo “Chi mena per primo mena due volte”, ma anche “Spara prima e poi ragiona” sono principi, fondamenti strategici. L’azione, la forza, la vis, ossia la violenza sono il vero sottosuolo su cui poggia lo stratos, l’accampamento, l’esercito, la schieraarmata. Per questo non c’è guerra – per quanto condotta dai più alti e lucidi strateghi – che non abbia sempre sortito devastantiesiti di oscura follia. Nella strategia, infatti, coincidono ragione e bare, fondamenti e baratro.

di Riccardo TavanI

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