Virus oeconomicus

Mai Capodanno Cinese fu più buio, vuoto in senso sia concreto, sia simbolico. Cruciali città cinesi chiuse, blindate, con luci e frenetica attività di spese spente. Anche la Borsa del Dragone è serrata. Riapre il 3 febbraio, a fine Capodanno. Si attende il suo oracolo tra clamore e tremore.  Il picco del Coronavirus, però, sembra doversi manifestare proprio nel mese di febbraio. Oscillazione percentuale in più o in meno, il Prodotto Interno Lordo della Cina (PIL) è valutato attorno ai 13.100 miliardi annui di dollari americani. Diversi esperti valutano che gli effetti dell’infezione può arrivare a toccare nell’immediato fino all’1,2% di tale enorme massa monetaria. Terzo per valore, dopo quelli di Usa e Ue, sul PIL cinese si gioca però la vera partita economica mondiale. Circa un miliardo e mezzo di persone che si aprono dinamicamente ai consumi e ai traffici economici, telematici globali con una forte propensione di spesa e di acquisti in ogni settore merceologico e tecnologico mondiale.

Qualcuno ha avanzato l’ipotesi dietrologica che la diffusione del virus in questo momento di acuto contrasto tra Usa e Cina non sia per niente casuale. Lo sguardo, però, soprattutto quello critico, filosofico, dovrebbe saper guardare alla struttura profonda della realtà presente, al suo sottosuolo, non ai superficiali sospetti spionistici difficilmente dimostrabili. E questo soprattutto perché un così ferale colpo inferto da chissà da una Spectre batteriologica all’economia cinese lo sarebbe in realtà a tutta l’economia mondiale, quella americana in primo luogo. I settori economici già pesantemente colpiti, infatti, non sono solo cinesi ma globali. Dai trasporti ai beni di lusso, della moda, quale emblema questi ultimi proprio del vertice consumistico occidentale.

È chiamato Coronavirus, perché al microscopio elettronico ci appare in una forma circolare con tante punte, proprio come quelle di una corona regale. Micidiale corona, non molto più, però, di altre che hanno colpito l’uomo in tutta la sua storia. Solo che mai come oggi – per riprendere in forma traslata un’espressione della teoria economica novecentesca – abbiamo un neo homo oeconomicus. Lo testimonia proprio quel grandioso progetto cinese che si chiama Nuova Via della Seta, una cintura tecno-economica di oltre settemila chilometri che intende percorrere e affasciare gran parte delle terre, delle acque e dei cieli contemporanei. Progetto cross-nazionale, che attraversa e cui partecipano, infatti, con notevoli capitali d’investimento, molti Paesi ed economie occidentali. Il virus colpisce così l’uomo non nella sua nuda, spoglia essenza biologica, ma nella sua attuale evoluzione bio-economica. Più vertiginosamente oggi l’economia supera e soppianta in tutto il mondo non solo la politica ma la stessa bio-politica, così come l’hanno descritta alcuni grandi pensatori occidentali. La soppianta unificando davvero tutta la sfera biologica globale. Perché è impensabile che gli effetti della pervasiva, capillare attività umana possano essere separati da quella dell’ambiente naturale dentro (e spesso contro) cui essa si svolge. Ecco dunque che il virus non può che essere anch’esso oeconomicus, infettare le Borse mondiali, buttare giù in pochi giorni miliardi di dollari di PIL di un intero subcontinente e minacciare a effetto Domino anche tutti gli altri.

Così come molti grandi teorici del secolo scorso criticarono la supposta razionalità super calcolatrice dell’interesse personale dell’homo oeconomicus, oggi non possiamo che rivolgerci a una radicalità critica ancora più profonda. L’estrazione di profitto dalle risorse ambientali planetarie a tutti i costi, mettendo in secondo piano tutto il resto, non può che rappresentare oggi una minaccia proprio alla radice del termine economia. La quale deriva dal greco antico oikonomìa, ossia amministrazione, buon governo della casa, delle cose domestiche. E mai come oggi per casa deve intendersi l’intero pianeta Terra, con i suoi miliardi di umani, piante, animali e virus.

di Riccardo Tavani

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