Dagli all’untore

Sembrava un problema lontano, confinato in paesi lontani, da cui difendersi con semplici misure di filtro agli aeroporti. Invece no. È un problema di tutti: i virus non rispettano le frontiere, non hanno bisogno di passaporti, sono come il vento. Scopriamo così che siamo vulnerabili, le difese non bastano mai. Questi esserini sono più furbi di noi, anche se sono così piccoli che non si vedono neppure sotto le lenti del microscopio, così inetti che non hanno neppure un metabolismo. Non sappiamo se considerarli esseri viventi, come noi e i batteri, o semplice “materiale biologico ai margini della vita”.

Comunque sanno aggredirci e, qualche volta, anche ucciderci. Alcuni convivono con noi da tempo immemorabile, come i virus influenzali, altri siamo riusciti ad eliminarli dalla faccia della terra, come il vaiolo. Ma non sappiamo bene da dove e perché vengano, o mutino: il morbillo ha circa duemila anni, l’HIV non ha più di 50 anni. Virus vengono, virus vanno, segnando le diverse epoche storiche, ma non sappiamo bene perché.

Dovrebbero perciò insegnarci prima di tutto l’umiltà, perché noi uomini non siamo poi onnipotenti, né onniscienti. Siamo inseriti in un sistema biologico più grande di noi, di cui siamo solo una parte e del quale non sappiamo tutto.

Ma quanto è importante questo nuovo virus?

Per dare la giusta dimensione al fenomeno, forse è bene fare qualche paragone.

Il primo che viene alla mente riguarda la “spagnola”, la pandemia influenzale finita giusto un secolo fa. Anche quel virus sarebbe venuto dalla Cina, come un comune e abbastanza innocuo virus influenzale, per poi mutare in America, diventando improvvisamente più pericoloso, e diffondersi in Europa attraverso i campi militari. Riuscì a raggiungere anche le più remote isole del Pacifico e del Mar Glaciale Artico, anche se all’epoca non c’era il trasporto aereo. Fece milioni di morti (qualcuno ipotizza addirittura cento milioni), uccidendo soprattutto i giovani. Quando scoppiò l’epidemia c’era ancora la guerra, perciò la censura impedì di parlarne negli Stati belligeranti. Ne scrivevano, però, i giornali spagnoli (la Spagna non era in guerra), gli unici da cui giungessero notizie. Perciò ancora oggi la chiamiamo “spagnola”, anche se era parte cinese e parte americana.

La storia della censura, ci riporta al ruolo della politica e dell’informazione. Allora era vietato parlarne, oggi non si può non parlarne. E, inevitabilmente, si innescano polemiche e strumentalizzazioni politiche che tendono ad ingigantire il problema e a creare aspettative impossibili.

Per esempio, non ci si può illudere che un qualche atto di governo possa fermare il virus, qualunque cosa blateri qualche politico. Non soltanto perché il virus non li leggerebbe neppure, ma soprattutto perché è inevitabile che ci sia già una diffusione occulta nel momento che si comprende che vi è un nuovo virus in giro. Non è pensabile che lo si capisca al primo caso di polmonite né, tanto meno, di malattia più benigna (come nella maggior parte dei casi) o, a maggior ragione, di decorso asintomatico. Al momento della prima diagnosi di virus mutante, c’è già una diffusione consistente, ignota e assolutamente inevitabile: la cronaca lo dimostra benissimo. Il resto sono balle, buone soltanto per la politica più miope e deteriore.

È chiaro che, comunque, un’epidemia è cosa seria. Purtroppo, esige le sue vittime. Ma diamole l’importanza che merita. Non soltanto non è paragonabile ad altri eventi del passato, come la spagnola, ma ancor meno all’epidemia più grave dei nostri giorni, della quale si continua a parlare molto poco: la politica ha imposto una censura, come per la spagnola in tempo di guerra. Non è causata da un virus, ma fa 8,8 milioni di morti all’anno nel mondo, 790.000 in Europa: questa è la mortalità che l’European Heart Journal (Volume 40, Issue 20, 21 May 2019, Pag. 1590–1596, per chi vuol prendersi la briga di controllare) attribuisce all’inquinamento atmosferico. Ma non calcola i malati cronici che sopravvivono. Per non parlare delle altre endemie come le guerre e gli incidenti stradali.

È paradossale che si dia tanto spazio ai focolai epidemici del coronavirus e nessuno spazio alle altre ben più tragiche pandemie. Eppure, sulla prima la politica ha scarso impatto, mentre sulle altre la responsabilità è prevalentemente politica. Le guerre e l’inquinamento sono figli delle scelte politiche, il coronavirus no.

Perciò, ben vengano le misure di profilassi per il coronavirus ma, per favore, non fermiamoci qui, se ci interessa la vita.

di Cesare Pirozzi 

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