EDUCARE ALLA SOLIDARIETÀ

Perché e come educare alla solidarietà sono gli interrogativi quanto mai provocati dagli scenari quotidiani dell’epoca corrente e, in specie, dall’orizzonte desolante su cui si stagliano i nostri comportamenti nel tempo di “crisi” e sotto il giogo della psicosi di massa, suscitata dalla pandemia corrente e alimentata dal martellare ossessivo di spudorati “social” e confusivi mass-media.

Credo fermamente che il ruolo dell’educazione risulti determinante ai fini della costruzione della società soprattutto se si vuole approdare ad un futuro sostenibile e degno di essere vissuto laddove oggi pare che le persone abbiano più timore del peggio che non speranze, mettendo in pericolo anche il presente.

Il presente non si costruisce con il nichilismo e il futuro non appartiene alle Cassandre, né l’educazione può annichilirsi nell’omologazione del pensiero collettivo e nella cultura del relativismo: essa deve svelare e nutrire il potenziale umano che, di conseguenza, riverbera nel sociale, liberandolo dall’attuale anomia, in cui l’ha costretto gran parte del mondo adulto, in specie molti genitori e altrettanti insegnanti; complici le istituzioni preposte alla “cura” educativa.

Il primo obiettivo educativo consta, dunque, nel superare i livelli di accudimento, addestramento e apprendimento cui viene sottoposto il cucciolo d’uomo per dare respiro alla dimensione ontologica e teleologica, che permetteranno allo stesso di smettere le sembianze del cucciolo, di uscire dall’egocentrismo originario per stemperare progressivamente l’individualità nella collettività, al fine poi di percepirsi parte di un tutto.

Aiutare, di conseguenza, l’uomo a crescere come persona, a sviluppare creatività e aspirazioni, a diventare consapevole del proprio essere e appartenere, fa parte dei compiti non facili dell’educazione che la rendono consustanziale con il sorgere e il consolidarsi della società e ne fanno paradigma della stessa, contrariamente al convincimento di coloro che additano il progresso quale parametro di valore di una civiltà. Il progresso non è un antidoto all’ineducazione o alla maleducazione né veicolo di cultura.

La società attuale, poi, giorno dopo giorno diventa preoccupante esempio della dicotomia educazione/progresso: fatti di cronaca nera allungano la lista di quei comportamenti che venivano additati come “barbarie” e ingenuamente ascritti a modelli umani desueti e lontani nel tempo; contestualmente l’homo faber e l’homo tecnologicus si ripropongono continuamente quali dimensioni costitutive di una persona che ha dimenticato le profondità dell’essere e gli orizzonti dell’alterità. L’homo socialis si è atrofizzato, annichilito nell’omologazione di un welfare state, ridotto ad assistenzialismo generalizzato, e dal consumismo; strumentalizzato da politiche mercantili e cortigiane.

Certa di progredire, la società contemporanea ha voluto dotarsi di strumenti istituzionali per salvaguardare gli aspetti cooperativistici e solidaristici che sanciscono quali diritti le istanze sociali di base di ogni individuo, affidandosi ai criteri giuridici ed etici del welfare-state. Ma tali sinergie si sono cristallizzate nell’assistenzialismo che salvaguarda più le soglie della sopravvivenza che non quelle dell’esistenza laddove la qualità di vita rimane da definire nei suoi significati profondi, nel suo equilibrio fra essere e avere, comunque ancora lontana dal quotidiano vivere di una popolazione sempre più elitaria.

L’assistenzialismo, poi, è un aspetto tecnico che si riduce a delega morale della responsabilità gli uni degli altri, mediata dal diritto e dal rispetto dei diritti: “… una società veramente umana deve avere un linguaggio comune del bene. Quello su cui si basa la nostra società – un linguaggio dei diritti – non contiene le parole per esprimere le dimensioni del bene umano che richiedono atti di virtù non definibili come obblighi legali o civili”1.

Educare alla solidarietà implica, dunque, discernere messaggi e gesti di aiuto per non limitarci all’assistenzialismo e scoprire, invece, quel sottile e tenace legame che vincola ai propri simili prima e oltre i confini tracciati dal diritto e dai diritti. Legame che prorompe, soprattutto ma non sempre, nelle situazioni di emergenza e/o sofferenza dove la catastrofe e il pericolo scuotono gli ingranaggi sociali stereotipati, svelano la finitezza e fragilità dell’uomo, sollecitano l’istinto di sopravvivenza e il sentimento sociale per poi coagularsi in piccoli o grandi gesti che, in variabili parentesi spazio-temporali, ricompattono il corpo sociale.

Al di là della constatazione che la solidarietà “ha una delle sue radici più robuste nell’esperienza che i dolori individuali sono condivisibili”2, si deve educare non tanto all’eccezionalità e alla solidarietà che si colora di pietà o eroismo quanto all’autenticità della relazione interpersonale nel quotidiano e alla catena di rapporti che collega l’umanità in un anelito dagli effetti più disparati, come il battito d’ali della farfalla che provoca l’uragano.

Cultura ed educazione moderne hanno dato eco alla razionalità analitica, alla scienza e alla tecnologia, al primato della cultura occidentale, “alla sopravvalutazione ed esasperazione delle facoltà individuali (dell’uomo) a scapito di altre dimensioni ed attività, quali quelle attinenti alla sfera morale, affettiva, estetica, esperienziale”, ignorando che non si educa alla tolleranza, all’interculturalità e alla solidarietà fra le genti né con l’appiattimento delle culture e delle fedi né con i fondamentalismi, senza integrazione.

Solidarietà significa libertà nell’incontro, nella differenza, nell’aiuto reciproco… che permette di crescere nel rispetto delle reciproche identità e valori.

Si deve evitare il rischio di perdere tutto ciò che è politico (da polis), cooperativistico, solidaristico… ovvero il tessuto intimo dell’homo socialis dove l’Io, l’identità, è destinata a coniugarsi con il Noi dell’appartenenza sociale per evitare alienazione ed emarginazione.

Nella storia del pensiero occidentale tali dimensioni costitutive del soggetto sono state oggetto di dispute, fino a generare differenti concezioni dell’uomo e della società attorno a due poli estremi: individualismo e collettivismo.

La psicologia e, meglio ancora, la psicoanalisi hanno dimostrato l’importanza dello strutturarsi dell’identità dell’uomo che passa da uno stato iniziale di fusione con la madre a progressive differenziazioni e conquiste di alterità. In tale contesto, Alfred Adler, discepolo dissidente di Freud, enumerando le istanze psichiche dell’uomo segnala il “sentimento sociale” mediante il quale il soggetto sviluppa bisogni di cooperazione e di compartecipazione emotiva con i propri simili.

Già, quindi, nelle profondità dell’essere troviamo tracce e bisogni di solidarietà quale espressioni di istanze squisitamente umane che vanno a significare quell’amore sociale che S. Agostino e S. Tommaso distinguevano dall’amore individuale.

Nell’educare occorre ricordare “la norma che regola le relazioni umane: ogni contatto tra due individui determina un effetto in entrambi. Tra due esseri umani non si dà incontro o conversazione – a meno che non siano puramente accidentali – che lascino immutato vuoi l’uno vuoi l’altro. (…) Persino un incontro causale può avere una grande ripercussione”3. Nell’incontro che porta al riconoscimento dell’altro si colloca la solidarietà in quanto esalta l’altro e l’impegno di ciascuno a favore dell’altro e del bene comune.

Educazione quanto mai necessaria per la compagine sociale odierna composita e contraddittoria. In essa troviamo semi di piante quanto mai differenti: isolazionismo, indifferenza e solipsismo; nel contempo: massificazione, globalizzazione, poliappartenenze… a scapito dell’interdipendenza e a favore dell’indipendenza e della soggettività esasperata: “L’uomo moderno è massificato, in larga misura “socializzato”, ma sostanzialmente è un isolato[1] . Poiché si è estraniato dai suoi simili, si trova a fronteggiare un dilemma: egli teme il contatto troppo intimo con gli altri e nel contempo ha paura di rimanere isolato e di non avere rapporti interpersonali”4.

Educare alla solidarietà significa sanare o prevenire tale impasse, educando alla prossimità e alla condivisione non solo di cose o di bisogni ma anche di sé stessi.

La solidarietà in quanto “determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune”, come recita l’Enciclica “Sollecitudo rei socialis”, permette al soggetto di uscire da sé stesso e dalla sua nicchia esistenziale per trovare l’altro e ritrovarsi, catapultandosi in una dimensione etica quanto mai salutare per dare senso al vivere.

Educare alla solidarietà è suscitare “quell’estrema apertura intenzionale” che rende l’uomo “capace di ogni sorta di comunicazione con le cose, con gli altri” e con il Dio della sua fede, nonostante la “clausura ontologica e la forza individualistica” intrinseche alla persona5.

Mi pare quanto mai appropriato citare l’esigente comandamento evangelico “Ama il prossimo tuo come te stesso”, non così distante dalla teoria psicologica che fa dell’uomo ben integrato nella sua identità una persona capace di sani rapporti interpersonali, in quanto educare alla solidarietà sottintende, in prima istanza, fra prendere coscienza della propria soggettività, delle dimensioni costitutive dell’essere… per amarsi e stare bene con sé stessi. Sincronicamente, tale ben-essere predispone e media il rapporto interpersonale in chiave solidaristica.

Afferma Maritain: “Per poter darsi, bisogna prima esistere, e non solo come un suono che passa nell’aria o un’idea che mi passa nella mente, ma come una realtà che sussiste e che esercita da se stessa l’esistenza; e non bisogna solamente esistere come le altre cose, bisogna esistere in modo eminente, possedendoci noi stessi, tenendoci noi stessi in mano e disponendo di noi stessi, vale a dire che bisogna esistere di un’esistenza spirituale, capace di afferrarsi essa stessa per mezzo dell’intelligenza e della libertà e di sovraesistere in conoscenza ed amore”6.

Ne consegue che educare alla solidarietà riveste anche ruoli di prevenzione nei confronti della solitudine, dell’angoscia e dell’ira, endemicamente allignanti nel globo, che ottundono la salute psichica e la dimensione etica dell’uomo e degli Stati.

Possiamo paragonare la società ad un sistema animato dalla sinergia di diversi elementi la cui coesistenza è vitale per il sistema stesso, per esempio la pace con la tolleranza; la giustizia con l’equità; il diritto con il dovere; il dialogo con l’ascolto; il confronto con la mediazione; e via dicendo. Il sistema, di sua natura inquieto, cerca incessantemente l’equilibrio, l’omeostasi: la solidarietà può fungere da volano di tale ricerca in quanto istanza sociale che mira al “solidum”, cioè al compatto e all’interezza. Perciò è capace di attraversare scenari di universalizzazione di un mondo sempre più allargato in termini politici ed economici secondo la chiave della unità nella diversità, che richiede la capacità di gestire le ambivalenze presenti nel sociale a livello di pluralismo culturale, politico, religioso e linguistico laddove le scelte possono presentarsi non più univoche.

Le conseguenze educative sono immani così come le implicanze etiche: “La coscienza pedagogica contemporanea spinge a non limitare l’educazione al momento della pura trasmissione della cultura e del sapere. Ad esso viene inderogabilmente collegato il momento della personalizzazione. (…) Il rapporto e la relazione educativa diventano il centro focale e dinamico dell’azione educativa”8.

Educare il soggetto a sapersi porre criticamente verso sé stesso e le realtà, senza scivolare nello scetticismo e nel relativismo, restando fedele alle proprie convinzioni; educare alle rotture e alle incertezze, senza scadere nell’alienazione, per poter com-prendere l’altro e le altre dimensioni; educare ad usare il plurale per decifrare le realtà, a sapersi porre in equilibrio fra diverse opzioni di scelta.

 Educare a quel processo a lungo termine denominato della “differenziazione comunicativa”, in cui ogni cultura deve farsi rispettare, inserendosi nelle reti di interdipendenze globali, secondo un pluralismo poggiante su incontro e differenze, evitando un’omogeneizzazione forzata e sradicata, l’assimilazione e la separatezza.

Diversamente, oggi e nel futuro, la solidarietà non avrà seguito o si ridurrà al solito assistenzialismo o alla mera pratica di un precetto religioso o al soddisfacimento di un intimo bisogno di oblatività: tutte opzioni positive, però inscrivibili nella solidarietà e perciò inferiori alla forza titanica e rivoluzionaria che la stessa possiede in merito ai cambiamenti sociali che può provocare.

Educare alla solidarietà per non perdersi nel globale e non morire nell’isolamento, quindi educare alla qualità della vita, invitando alla decelerazione dei ritmi stessi di vita in modo da far apparire la dimensione della prossimità: solidarietà è anche offrire il proprio tempo.

La domanda di Caino: “Sono forse io il custode di mio fratello?”, ritorna impellente a ricordarci la prossimità e pretende un’educazione ai rapporti, alla comunicazione in ogni ambito di vita in ogni suo aspetto. Educare alla solidarietà è prevenire ed evitare che Caino uccida suo fratello non necessariamente fisicamente ma con l’indifferenza o con la competizione selvaggia o con lo status sociale o con l’uso aggressivo dell’economia o del sapere o del ruolo familiare, sociale, lavorativo, istituzionale o con l’impulso agito per noia.

Qui vengono chiamate in causa tutte le agenzie educative: famiglia, scuola, chiese, enti e associazioni… a lavorare in primo luogo sulla relazione e sul rapporto interpersonale: “Lo statuto del sapere e del conoscere si è trasformato. Agli studi della mente e della logica c’è da affiancare quelli sull’intelligenza emotiva, dei bisogni, del desiderio”7.

Il Rapporto Unesco (Delors, 1997) afferma che l’educazione “ci appare come mezzo prezioso e indispensabile che potrà consentirci di raggiungere i nostri ideali di pace, libertà e giustizia sociale” laddove per educazione si intende anche “cura della buona qualità della vita personale, individuale e comunitaria” per cui, nello stesso rapporto, vengono enunciati quattro pilastri sui quali fondare istruzione e formazione: due di essi sono l’imparare ad essere e l’imparare a vivere insieme, con gli altri.

Educare alla qualità della vita, delle relazioni, dei sentimenti, alla solidarietà che riassume tali fattori e li amplifica, diventa senz’altro difficile e la realtà trasmessa dalle cronache relative alle reazioni parossistiche provocate dall’attuale pandemia, lo dimostra con crudezza.

Pare sia oggi il tempo del controllo sociale, della sicurezza contro fantasmi, magari creati ad arte, della miopia politica ed istituzionale, dell’orfanità.

Ma quando verrà il tempo degli educatori e dell’autorevolezza ?

 “L’educazione avrebbe da aiutare a farsi le buone attrezzature per intraprendere il cammino, stimolare a non perdersi e non smarrirsi, anzi a sapersi orientare, sostare quando c’è bisogno, riprendere il camino, facendo strada insieme, evitando brutti incontri, facendosi prossimo e diventando buon samaritano per chi incappa in briganti. (…) L’educazione lotta per la verità e si impegna per la ricerca del senso”9.

Quando saremo tutti solidali al di là di avvertirne la necessità?

Quando ci impegneremo ad esserlo se non altro per non mettere a repentaglio la vita delle generazioni future.

di Nicolò Pisanu

Pedagogista, Psicologo, Psicoterapeuta, Direttore Istituto universitario di Scienze psicopedagogiche e sociali “Progetto Uomo” , aggregato all’Università Pontificia Salesiana.

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[1] Come, fra l’altro, dimostrano gli studi di Riesman.

1 M. Ignatieff, I bisogni degli altri, Il Mulino, Bologna, 1986, pag. 10.

2 E. Fromm, Da Avere a Essere, Mondadori, Milano, 1991, pag.44.

3 E. Fromm, op. cit., pagg.39-40.

4 E. Fromm, op. cit., pag. 39.

5 B. Mondin, L’uomo chi è ?”, Massimo, Milano,1982, pag. 359.

6 J. Maritain, La persona e il bene comune, Morcelliana, Brescia, 1963, pag. 24.

8 C. Nanni, op. cit., pag.13.

7 C. Nanni, Pensare l’educazione, IFREP, Roma,2001, pag. 8.

9 C. Nanni, op. cit., pag.16-17.

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