Eppure il vento soffia ancora

“Nacque dunque Raffaello in Urbino, città notissima in Italia, l’anno 1483, in venerdì santo ore tre di notte, d’un Giovanni de’ Santi, pittore (…)
Confesso e contrito finì il corso della vita sua il giorno medesimo che nacque, che fu il venerdì santo, di anni 37.”

Muore giovane chi è caro agli dei.

Era il 6 aprile del 1520 quel venerdì precedente la Pasqua di Roma. Da quel giorno e per cinquecento anni fino ad oggi Raffaello Sanzio è stato fatto oggetto di un processo di divinizzazione ininterrotto: la mostra a lui dedicata alle Scuderie del Quirinale, che ci consegna la perfezione dell’armonia e della sua arte, ha venduto 50.000 biglietti già un mese prima dell’inaugurazione.
Adesso la mostra è sospesa. Come è sospesa la nostra esistenza in questi giorni di clausura e di paura per un male difficile da curare., Come è sospesa l’atmosfera dipinta da Raffaello nella tavola della Deposizione Borghese. Un mondo intero trattiene il fiato in attesa del vento del cambiamento.

Aveva un figlio, Atalanta Baglioni. Aveva un figlio giovane, tanto giovane quanto bello, di nome Grifonetto. Un figlio prima assassino e poi assassinato, passato a fil di spada sul corso di Perugia.
Atalanta chiese a Raffaello di dare un colore al suo dolore. Le madri, si sa, sono animali inconsolabili. Raffaello, che non poteva restituirle il figlio vivo, glielo rese immortale centrandolo su 3 metri quadri di una tavola dipinta a olio, una tavola di algida bellezza, di sublime perfezione: la Deposizione Borghese. Quel dipinto che ci racconta non proprio la Deposizione del Cristo, ma l’istante che le succede e insieme quello che ne precede la sepoltura. Quel dipinto che conserviamo a Roma, alla galleria Borghese,quel dipinto straordinario che ci appartiene.
I personaggi dell’iconografia classica del compianto Raffaello ce li ha messi tutti, immobili, inchiodati dal dolore. Al centro, di nuovo e di diverso, c’è solo Grifonetto, ragazzo elegante, dal profilo di una grazia persino imbarazzante. Eppure nessuno lo guarda, tutti hanno il pensiero rivolto altrove, come se Grifonetto non esistesse, un buco al centro del dipinto. Intorno a lui l’aria è ferma, sono immobili in cielo le nuvole leggere, sono ferme le foglie sui rami; Grifonetto ha invece il vento che gli soffia nei capelli, un vento di cui non si accorge nessuno intorno a lui.
Grifonetto è il cuore del dipinto, ignorato, straniero a quella storia. Come se un piccolo mondo immobile, assorto nella spicciola conta dei morti, compreso nelle proprie sciagure, non potesse o non volesse vedere l’altra parte del mondo costretta a muoversi da un destino diverso. Come se da una parte ci fossimo noi, che sopravvivremo solo se staremo chiusi al riparo di quattro mura, ma dentro la casa che abbiamo non ci vogliamo stare e dall’altra loro, gli stranieri, che quattro mura per ripararsi non le hanno, che a casa propria non possono rimanere. Quei profughi vestiti di stracci, in bilico sull’esistenza, mossi per mare alla ricerca di un’isola immaginaria, che premono al confine dell’Europa, in cerca di una terra di pace disattesa, spinti da un vento di speranza che non si può fermare. Noi, spettatori ciechi. Loro, al centro della storia, col vento nei capelli.
Per quanto tempo ancora?
“Quante volte un uomo può girare la testa e fare finta di non vedere?La risposta, amico mio, la sta soffiando il vento”

di Daniela Baroncini 

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