La pratica educativa e la relazione con l’Altro

La pratica educativa è una prassi (per dirla in termini “freiriani”, azione e riflessione) umana e sociale, che si basa sulla relazione tra educatore e educando, tra due persone che ricoprono un ruolo differente, esplicitando quella che viene chiamata asimmetria educativa, ma che umanamente si trovano ad interagire.

Un’interazione-comunicazione che necessita di una co-intenzionalità, grazie alla quale sarà possibile superare la contraddizione educatore/educando, insita nella pratica educativa stessa.

L’intenzionalità, quindi, dovrà essere reciproca, per stabilire un patto fiduciario tra i due soggetti, che implicitamente sottoscrive una delega di potere, necessaria per legittimare il lavoro dell’educatore.

Un’ “educazione dialogica”, come afferma appunto il pedagogista Paulo Freire, perché senza il dialogo non esiste comunicazione e senza comunicazione non può esserci una vera educazione.

Gli uomini si “costruiscono” attraverso il dialogo perché sono in fondo esseri comunicativi: nel momento del dialogo, infatti, gli uomini si incontrano per trasformare la realtà.

Si verrà quindi a creare un sistema di relazione, capace di provocare dei cambiamenti che arrivano a toccare i diversi aspetti della persona, sia da un punto di vista razionale che da quello emotivo e sociale. Un cambiamento, infatti, genera sempre una crisi rispetto a ciò che c’era prima e accompagna la formazione di un nuovo presente.

Ma sarà necessaria una riflessione dell’educatore sulle ragioni delle proprie azioni, riflessione che sarà avvalorata o messa in crisi proprio dalle risposte di chi si ha di fronte.

La necessità fondamentale dell’educatore sarà perciò quella di saper “leggere” il mondo, attraverso tutti i suoi sensi, un’osservazione che passa dal particolare al globale, senza esclusione alcuna.

Dovrà inoltre condividere la realtà che ha percepito con gli altri per dare vita ad un “criterio di verità” che nasca dalla condivisione della lettura dell’altro.

Dinamica, questa, che si lega al tema della dimensione assiologica della pratica educativa stessa, portatrice di valori spesso diversi: chi definisce ciò che è giusto da ciò che è sbagliato?

Bisogna pensare che il “giudizio” valutativo dipende sempre, in sostanza, da chi effettua la valutazione.

Per questo è necessario ricordarsi di non basare valutazioni o giudizi solo in relazione alla tecnica o alla teoria, ma tenere conto del fatto che ogni intervento educativo è fatto da persone che si incontrano.

Una pratica critica, quindi, soprattutto in una “modernità liquida” come quella attuale, in cui vengono meno i punti fermi che rendono incapaci gli individui di investimenti affettivi sull’altro, di relazioni empatiche, di quell’attenzione che sarebbe necessaria nei rapporti tra gli esseri umani.

Grazie a queste relazioni autentiche, vere, profonde, si potrà dare quindi importanza e significato alla trasmissione di conoscenze, valori, abilità, competenze e nella prassi educativa rendere questa trasmissione organizzata, nei fini e nei mezzi.

Saranno necessarie le competenze del sapere, saper fare, saper essere e saper divenire, attraverso un processo costante di apprendimento, l’educazione permanente, per sviluppare le conoscenze e quindi ampliare le possibilità.

Apprendimenti e consapevolezze che renderanno possibili atteggiamenti autentici, che predispongano verso la persona e, attraverso l’ascolto e l’accoglienza, permettere la comprensione dell’altro.

di Francesca Mara Tosolini Santelli

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