Chi si ricorda di Lesbo…?

La polvere sotto il tappeto (sporco) d’Europa         

In questi giorni in cui l’emergenza Covid-19 polarizza tutte le attenzioni, c’è di che essere schifati dai contrasti che animano il vecchio continente e che mostrano l’ipocrita incoerenza, tra i suoi umani principi ispiratori e la realtà del cinico incedere dell’Unione Europea. Le nuove discussioni tra ottusi rigoristi e paesi (sempre più) indebitati, strangolati dalla necessità di arginare i contagi, l’egoismo di chi requisisca degli strumenti sanitari altrui, sono l’emblema di come l’UE si stia rivelando ben poco unita. Quindi, non c’è da stupirsi se al povero confine insulare ellenico, possiamo avere ancor più il senso della deriva disumana del vecchio continente. Nel mare Egeo, a pochi chilometri dalle coste turche, c’è un’isola famosa per una poetessa dell’antichità e meta per i turisti. In quest’isola, Lesbo, si è consumato e ancora si consuma il dramma dei profughi siriani. Da ben 5 anni su quest’isola, crocevia della rotta balcanica, si è vista crescere a dismisura la più grande tendopoli d’Europa, il campo profughi di Moria, inizialmente concepito per ospitare 2800 persone e giunto a contenerne quasi ventimila, di cui circa un quarto bambini. In un simile contesto le ONG, come Medici senza Frontiere, operano per contenere i disagi che devastano l’esistenza di chi viva al suo interno. E, oltre alla loro opera umanitaria, denunciano anche le violenze ed i soprusi che avvengono in questo campo: ma chi ha sentito, in Europa, il grido di dolore di questa parte di umanità? Pochi giorni fa, nell’ennesimo incidente dovuto al suo sovraffollamento, una bambina di 6 anni è morta nell’incendio della sua tenda. Questo lutto è conseguenza della partita tra il presidente turco e la Commissione Europea, controllata della cancelliera tedesca Angela Merkel.

Già a fine febbraio, quando il Coronavirus non era più solo un problema cinese, con pesanti violenze le forze dell’ordine e militari greche hanno respinto circa 4 mila profughi, in precedenza cinicamente sospinti dai loro colleghi turchi, verso l’Europa: con questa manovra, il presidente turco Erdogan oltre che chiedere più soldi per tenere lontani i profughi dall’Europa, ricordava al vecchio continente di non opporsi alle sue manovre in Siria e in Libia, terra di prigioni di migranti e di partenza di barconi. In questo quadro, la Grecia (altro paese dell’Unione, lasciato praticamente solo a gestire un’emergenza), ha alzato barriere e sparato non solo lacrimogeni, sui profughi, uccidendo anche un bambino e adottando successivamente un “pugno di ferro” nei confronti delle altre migliaia che assiepavano il confine turco: centinaia di persone sono rimaste intrappolate tra le due frontiere, pur di non farle entrare nell’Unione. In questo modo l’Europa ha voltato le spalle all’intera umanità e a quelle “radici giudaico-cristiane” che riempiono i suoi documenti, ma che restano solo un vuoto involucro che copra l’egoismo dei suoi burocrati filo-banchieri. In questa partita, i migranti non sono che delle pedine, perché l’Unione si lascia ricattare, preferendo foraggiare con 3-6 miliardi di euro la Turchia, per tener lontani quasi 4 milioni di esuli.

Una potenza economica e politica, quale dovrebbe essere l’Unione Europea, avrebbe dovuto rispondere a questo ricatto, accogliendo tutti i profughi e ripartendoli equamente tra i suoi stati, chiudendo i rubinetti dei miliardi e isolando economicamente la Turchia, condannandola così ad una recessione che ne avrebbe spazzato via l’attuale regime; nel frattempo avrebbe dovuto operare politicamente per normalizzare la situazione, tanto in Libia che in Siria, ostacolando i traffici degli scafisti e permettendo, in tempi relativamente brevi, il ritorno dei profughi nelle proprie terre, pacificate. Invece, seguendo la linea dall’asse populista-nazionalista, l’Unione ha dato il peggio di sé girando lo sguardo altrove, lasciando che la Turchia facesse da tappeto sotto cui nascondere la polvere, cioè il problema profughi siriani (ma anche afgani, iraniani, pachistani).

Ora che il virus domina i pensieri del mondo occidentale, chi si ricorda delle violenze avvenute un mese fa? Chi si ricorda di quell’infernale tendopoli di disperati su Lesbo? Chi si ricorda di quella polvere, fatta di donne, uomini e bambini? Se ne ricordano i creatori di fake news, intenti a confezionare notizie allarmistiche, circa la diffusione del contagio al loro ingresso. Se ne ricorda il papa, che talvolta ne parla nelle sue omelie, in cui ricorda tutti i disperati. Se ne ricordano i volontari delle ONG, che operano nell’inferno dei campi profughi, di entrambi i lati del confine (a Moria, come in quello turco di Nizip), in cui da anni si hanno notizie di violenze e stupri, che dovrebbero far vergognare l’occidente. Se ne ricordano “quelli che ce l’hanno fatta” a passare e che, in qualche modo, provano a far sentire la loro voce. Ma nel silenzio che avvolge la realtà delle tendopoli di Lesbo e Nizip ed i ripetuti respingimenti, da sotto al tappeto turco la polvere dei profughi è ben nascosta e non riesce a farci giungere la sua voce. Ma, anche se questa fosse ben più potente, l’Europa non la sentirebbe, dato che rivolge la propria testa altrove.

di Mario Guido Faloci

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