La guerra in Siria per le donne, dopo nove anni non è terminata

La guerra in Siria, è come calce viva sulla pelle delle donne. Barili bomba, raid dal cielo di jet militari, attacchi di eserciti e rappresaglie di milizie, città rase al suolo come Idlib negli ultimi mesi e poi Aleppo Est, Homs, Hama, Damasco e la Goutha negli anni passati e soprattutto una vita senza più una dimora.

Eppure sono donne che resistono. Questo è il titolo del rapporto di Caritas Italiana presentato per rompere il silenzio sulla sofferenza al femminile.

«Non solo vittime della guerra ma parti attive del Paese che verrà» afferma Caritas che tratteggia il volto femminile di queste vittime: 28.076 le donne morte dal marzo 2011 al novembre 2019, 10.363 le donne detenute e di cui sempre dal 2011 non si hanno più notizie. Cifre da considerare ovviamente per difetto se studi scientifici attestano ad oltre 570.000 le vittime in questi nove anni di guerra.

E adesso tra i 960.000 mila profughi di Idlib – una delle peggiori catastrofi umanitarie in corso, confrontabile solo con lo Yemen – circa l’81% sono donne. Tutte vittime violentate da una guerra che non hanno scelto, perché sono gli uomini a pianificare la guerra. E così anche le donne curde del Ypg, nel Rojava sono combattenti con il kalashnikov in spalla, attiviste armate di parole che in un contesto maschilista, pagano la loro emancipazione fino alla morte.

Sono lontane da qualsiasi ribalta mediatica, queste donne che ora fuggono da Idlib e si ammassano verso il confine siriano, sono quasi sempre “mater familias”, perché i mariti e i padri sono scomparsi o impegnati al fronte.

Dunque queste donne percepite da noi in occidente come eternamente succubi, ora si trovano a dover garantire una ciotola di riso, una tenda e se mai fosse possibile un quaderno, una penna e un libro di testo per i loro figli. Donne che devono sopportare sulla loro pelle tutto questo, ossia l’essere vedove o donne sole le rende, in un contesto di guerriglia urbana diffusa, ancora più vulnerabili e indifese. E sono in aumento, sempre in questo contesto, pure le spose bambine, i matrimoni temporanei delle ragazze per garantirsi, anche solo per poco, vitto e alloggio.

Infine sappiamo che nel Rojava, le recenti vicende belliche hanno aumentato gli stupri di guerra, spesso intesi come forme di ritorsione verso esperimenti sociali di emancipazione e governo al femminile, di cui ad esempio il villaggio di Jinwar – luogo delle donne – è un modello da combattere e contrastare in ogni modo.

Così in tutta la Siria le donne continuano ad essere le vittime della violenza dei vari attori in campo che impiegano l’uso di stupri, violenze e uccisioni come strumento funzionale alla causa delle rispettive propagande.

Entrando nel decimo anno di guerra in Siria, si può affermare che dalle ferite di queste donne può nascere una capacità di riscatto e di riconciliazione da intendersi non come semplice assenza di conflitti. Per questo Caritas, auspica che le donne siriane siano effettivamente coinvolte nei negoziati, come pure nelle forme di intervento umanitario sul campo «assicurando la loro effettiva partecipazione ai processi di ricostruzione ». Infine, fra i crimini di guerra che andranno perseguiti non appena possibile, lo stupro e altre forme di violenza e discriminazione femminile. Donne che resistono, per generare la nuova Siria, donne che ci mostrano una forza che deve essere un esempio per tutti noi, un monito alla riflessione e forse anche un’occasione non solo di leggere queste notizie come se non ci appartenessero ma come un invito ad essere più partecipi in ogni modo, nel nostro piccolo.

Affinché il loro grido di aiuto inascoltato possa diventare un urlo che parte da tutto il mondo, come un abbraccio virtuale, come una lieve carezza di condivisione e comprensione. Ognuno nel suo piccolo può fare qualcosa. E allora non lasciamo che simili tragedie possano non toccarci o commuoverci. Lasciamo andare il nostro cuore per un aiuto concreto, una sincera partecipazione a disgrazie che riguardano tutto il mondo.

Il virus che tanti morti sta lasciando nei vari paesi europei e non solo è la dimostrazione che non ci sono confini, né muri, né barriere e che in un attimo ciò che pensavamo non ci potesse toccare diventa anche un problema nostro. Impariamo da questo a guardare e guardarci in modo diverso, in modo migliore.

di Stefania Lastoria

 

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