LENIN MANCUSO: poliziotto di scorta ucciso con il giudice Terranova in un agguato mafioso

A seguire l’articolo pubblicato sul numero 5/2020 di Stampacritica mi premeva in modo particolare scrivere sulla figura del Maresciallo della Polizia di Stato Lenin Mancuso ferito in modo mortale (perirà dopo alcune ore di agonia in ospedale) nell’attentato di mafia del 25 settembre 1979, al momento dell’agguato egli svolgeva ufficialmente il ruolo di scorta del giudice istruttore del Tribunale di Palermo Cesare Terranova, il quale perse la vita nell’attento stesso.

La dinamica dell’attentato fu particolarmente efferata e cruenta, sul posto vennero contati un centinaio di bossoli anche di una mitraglietta da guerra, ed anticipò quelle che con un’escalation sempre più barbara sarebbero stati gli attentati e le stragi che verranno perpetrate negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso. La mattina del 25 settembre 1979, uscendo di casa per andare al lavoro con il proprio agente di scorta, il Maresciallo di P.S. Lenin Mancuso, la Fiat 131 sulla quale viaggiavano viene inaspettatamente bloccata da una transenna per “lavori in corso”. I sicari mafiosi, subito sbucati alle spalle e ai fianchi, fecero fuoco con dei fucili Winchester uccidendo sul colpo il giudice Terranova e ferendo mortalmente il maresciallo Mancuso.

Mancuso era nato il 6 novembre 1922 nel comune di Rota Greca (Cosenza) in quella terra di Calabria con aspetti di vicinanza con la terra di Sicilia non solo da un punto di vista geografico ma per essere anch’essa martoriata da fenomeni delinquenziali territoriali moto feroci e pervasivi della società (‘ndrangheta). Lenin Mancuso è stato un fedele collaboratore del Giudice Cesare Terranova ed è troppo riduttivo definirlo semplicemente scorta del Giudice stesso, al quale oltre al rapporto lavorativo lo legava profonda stima ed amicizia.

Mancuso collaborava con il giudice Terranova già nel 1971 quando il giudice era procuratore a Marsala e con lo stesso partecipò a diverse indagini. A quarant’anni dall’agguato il presidente della repubblica Sergio Mattarella in un messaggio inviato al sindaco di Petralia Sottana scrive “Rievocare la vile uccisione di Cesare Terranova e Lenin Mancuso richiama la necessità di resistere alle intimidazioni della mafia, opponendosi a logiche compromissorie ed all’indifferenza, che minano le fondamenta dello stato di diritto” continua il capo dello Stato “il 25 settembre del 1979 venivano uccisi in uno spietato agguato, per aver fedelmente servito lo stato, il giudice Cesare Terranova e il maresciallo della polizia di Stato Lenin Mancuso, addetto alla sua sicurezza.

Magistrato rigoroso e preparato, profondo conoscitore della realtà siciliana, Cesare Terranova seppe cogliere la forza e la pervasività della mafia, qualificandolo per primo come una ‘associazione delinquenziale’ dalle variegate forme, la più pericolosa ed insidiosa delle quali è quella camuffata sotto l’apparenza della rispettabilità”. Il contesto in cui è maturata l’uccisione dei due servitori dello stato riguarda un periodo in cui il livello di conoscenza del fenomeno mafioso era ancora poco chiaro, l’omertà era molto forte e permeava il tessuto sociale e gli stessi strumenti investigativi in possesso degli inquirenti risultavano non incisivi per un’adeguata lotta al fenomeno mafioso.

Il giudice Terranova ed i suoi collaboratori (tra i quali figurava il maresciallo Mancuso) sono stati i primi ad affrontare le indagini di mafia in “modo moderno” con una visione unitaria ed approfondita del fenomeno legandolo sempre più al contesto socio-economico che veniva sempre più pervaso dalla mafia. Si deve proprio al giudice gli spunti che nel decennio successivo alla sua morte porteranno alle elaborazioni normative le quali permetteranno allo Stato di affrontare in modo adeguato il fenomeno mafioso e che tutt’ora costituiscono la base dell’attuale azione di contrasto alla criminalità organizzata ed in particolare modo a quelle che sono le mafie (mafia, ndrangheta, camorra, etc.). In particolare furono proprio le indagini, indirizzate, in particolare verso la famiglia mafiosa di Corleone (con a capo Luciano Liggio e successivamente Riina), di cui il giudice aveva già colto le mire espansionistiche e di potere su tutta l’isola che si sarebbero manifestate di lì a poco in una sanguinosa guerra di mafia, a decretare la morte insieme al suo fidato collaboratore Lenin Mancuso.

Gli esecutori materiali e i mandanti della cupola palermitana che diedero l’ordine di eliminare Terranova sono stati assicurati alla giustizia e condannati all’ergastolo dalla Corte di Assise di Reggio Calabria nel 2000. Lo Stato ha onorato il sacrificio di Lenin Mancuso, con il riconoscimento concesso dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso di cui alla legge n. 512/1999, a favore dei suoi familiari, costituitisi parte civile nel processo. A ricordo della strage è stata apposta una lapide in via De Amicis a Palermo e nella stessa città è stata intestata una via al maresciallo di Polizia Lenin Mancuso (il condominio sotto al quale furono uccisi il giudice e il poliziotto rifiutò di apporre una targa che tenesse viva la memoria del tragico evento).

In conclusione mi sento di riportare una citazione di Giovanna Giaconia Terranova, moglie del Giudice ed insignita del premio donna d’Europa nel 1988, “All’inizio l’istinto è quello di rinchiudersi nel proprio dolore, non si pensa assolutamente di mettersi in gioco. È quello che ho provato anch’io. Però poi ho avuto la sensazione di non essere la protagonista di una tragedia soltanto personale, ma di una tragedia collettiva, che il pericolo minacciava un’intera società, non solo me. È questo che spinge ad un certo punto a testimoniare, quando ci si dice che non sono fatti tuoi, ma sono fatti di tutti i cittadini. E non si deve perdere la capacità di reagire, cioè quel filo che ci lega gli uni agli altri in una società civile, che è il filo della reattività. Altrimenti si rischia di scivolare nell’indifferenza e nella rassegnazione, si rischia di dimenticare”; e l’indifferenza e la rassegnazione è proprio un “lusso” che non ci possiamo permettere nei confronti di fenomeni di tipo mafioso.

di Alfiero Quaranta

Print Friendly, PDF & Email