Sul Coronavirus…

Presentiamo un articolo del nostro docente di Scienze Biomediche e Bioetica, Professor Andrea Castiglione Humani, pubblicato sul portale dell’IPU il 13 marzo u.s., che analizza la situazione attuale legata al Coronavirus, approfondendone soprattutto gli aspetti medico-scientifici.

Resta certo che, al di là di tali aspetti, il problema del nostro paese è collegato soprattutto ad una disponibilità di strutture sanitarie (ad esempio, i posti letto in terapia intensiva) che, attualmente, sembrerebbe insufficiente se questa emergenza dovesse addirittura peggiorare.

Nell’augurare a tutti noi di ritrovare al più presto la serenità che in queste settimane sembra lontana, vi invitiamo ad una buona lettura: in questi giorni lenti e lunghi, possiamo ritrovare il tempo per informarci criticamente rispetto a ciò che accade intorno a noi. Trasformiamo il limite in risorsa: approfittiamo per riscoprire la lentezza che, come afferma Jacques Leclercq, può nascondere delle meraviglie: “E i Magi, credete forse che avrebbero visto la stella, se non fossero rimasti talvolta sulla terrazza della loro casa ad osservare lungamente il cielo?” (J. Leclercq, “Elogio della pigrizia”, EDB).

Sul coronavirus: qualche riflessione fra tanta confusione

La genetica e le mutazioni

Una zoonosi è una malattia infettiva che si trasmette fra gli animali, lo dice la parola stessa. Un’antroponosi è, altrettanto chiaramente, un contagio fra esseri umani. Può succedere che alcuni germi facciano il “salto di specie” dagli animali all’uomo: non arriveremo a dire che è normale, ma comunque succede abbastanza spesso. E fin dalla preistoria: nel Neolitico l’Homo sapiens si è trasformato da cacciatore ad allevatore, ed ha cominciato a tenere vicino a sé i suoi animali, che erano il “serbatoio biologico” di numerosi germi. I bambini si trovavano ad essere i più esposti ai contagi, poiché avevano un sistema immunitario relativamente immaturo rispetto a quello degli adulti, ed inoltre passavano molto più tempo nell’abitazione o presso le stalle in promiscuità, mentre gli adulti si allontanavano; da quel momento alcune malattie che non avevano mai colpito prima l’Homo preistorico sono diventate antroponosi, e diffondendosi essenzialmente fra i bambini: la varicella, la scarlattina, il morbillo, la rosolia…

Il salto di specie presuppone che un patogeno specifico, che è geneticamente programmato per vivere in un ambiente altrettanto specifico e obbligato, nella sua frenetica attività di riproduzione cambi il suo genoma – cioè si trasformi in un mutante – e diventi capace di aggredire nuovi viventi, diversi, e di proliferare dentro di loro. Così l’AIDS, che viveva nell’organismo della scimmia Pan Troglodytes e si chiamava SIV (Simian Immunodeficency Virus) si è spostato all’uomo e si è chiamato HIV (Human Immunodeficency Virus). Ebola era endemico nei pipistrelli della regione del fiume Ebola, affluente del fiume Congo, ed ha infettato le persone che abitano nella stessa zona. I molteplici virus influenzali vivono negli uccelli, in particolare nel territorio cinese del Guandong, una sorta di vaso di Pandora virale; per motivi ignoti, circa ogni anno si modificano, e diventano antroponosi. E infatti, ogni anno ci viene proposto un vaccino nuovo: quello dell’anno precedente non vale più, il virus ha cambiato il suo assetto genetico. I vecchi cinesi chiamavano l’influenza la “malattia del vento”: perché sulle ali degli uccelli migratori si diffondeva rapidamente dappertutto. E ancora non basta: spesso il patogeno, nell’organismo ospite prescelto, sceglie le cellule che preferisce e colonizza solo quelle. Così, l’AIDS ha una preferenza per i linfociti, il che comporta la distruzione del Sistema Immunitario; il virus dell’epatite virale colpisce esclusivamente il fegato, ma non minaccia gli altri tessuti; la temibile Neisseria Meningitidis compromette l’encefalo, ma non attecchisce altrove; e il Corona Virus colpisce perlopiù l’apparato respiratorio. Riassumendo: nel tempo i germi patogeni si sono sempre riprodotti, e differenziati; ognuno di loro colpisce selettivamente una specie di organismi viventi (o più) ed un tipo cellulare (o più); in conseguenza, in ogni periodo esistono dei contagi caratteristici, che hanno un inizio e (per fortuna) una fine; così è accaduto anche negli anni recenti (vedi Aviaria, Sars, e poi Mucca Pazza…). Negli ultimi 40 anni, dal 1980 ad oggi, sono stati identificati nel mondo 82 nuovi germi patogeni, circa due ogni anno, più o meno noti. E, infine, è prevedibile che in futuro sarà lo stesso. La causa prima di questi contagi è la capacità dei microrganismi di modificarsi geneticamente, modificando la propria aggressività ed i loro bersagli.

Grandi e piccoli contagi

Quest’anno è il turno del Coronavirus, che peraltro era stato già identificato; e che ha suscitato una reazione emotiva e collettiva di inedita intensità. È una risposta appropriata?

Le statistiche della morbilità (= il numero dei contagiati) e della mortalità (= il numero delle vittime) sono diffuse ovunque, ed aggiornate di ora in ora. Qui ragioneremo soltanto per confronto con altre situazioni, già perfettamente conosciute. Ed ecco: nel 1957 l’influenza “Asiatica” ha lasciato dietro di sé 2 milioni di vittime e, come tutti ricordano, l’influenza “Spagnola” 20 milioni dopo la prima guerra mondiale. Più recentemente, l’AIDS ha causato 40 milioni di decessi; e l’Epatite virale, di cui pure si parla meno, 1,4 milioni all’anno. La zanzara è l’animale più omicida che esiste: oltre la malaria, essa trasmette all’uomo la Dengue, la West Nile Fever, e Zika, Chikungunya… per un totale di 750.000 decessi all’anno. In epoca presanitaria, la peste del 1346 ha cancellato la metà della popolazione d’Europa, e preferiamo non continuare con questo triste elenco.

Ora, il paradosso di un germe patogeno è che esso è come quell’uomo che sega il ramo dell’albero su cui è seduto: una volta tagliato il ramo, l’uomo si schianterà al suolo. E, una volta ucciso il malato, tutti i germi ospiti moriranno con lui: è automatico, ancorchè biologicamente assurdo.

Ogni microbo risolve questo problema con una sua strategia sofisticata. Quelli che assassinano la loro vittima/ospite in tempi brevissimi, come Ebola, sono estremamente contagiosi; e passano con la massima facilità dal malato/moribondo a chiunque gli stia intorno, assicurandosi lo step successivo di sopravvivenza. Mentre i germi che consentono lunghi anni di sopravvivenza al loro portatore, come l’AIDS, si possono permettere una contagiosità limitata solo ai contatti interpersonali particolarmente intimi e profondi, come nel rapporto sessuale: l’HIV è tanto letale nel corpo umano quanto indifeso nell’ambiente esterno, dove si inattiva in una mezz’ora. Mentre i virus dell’epatite hanno il tempo di aspettare: e sopravvivono tenacemente, per esempio sugli aghi di siringa, mantenendo la loro pericolosità.

Il COVID 19 resiste alcune ore all’esterno; nel rapporto diretto fra persone il suo passaggio è molto veloce; statisticamente, un infetto può trasmettere ad altri 2 / 5 individui, ma alcuni soggetti “superdiffusori” per motivi ignoti trasmettono a una ventina di altre persone, o più. Per paragone: verso la metà degli anni ’80 si era formulata l’ipotesi terrificante che un sottotipo di HIV si trasmettesse anche tramite le goccioline di saliva: per fortuna era una fake new, immediatamente censurata.

Che fare?

Al momento, la mortalità di COVID 19 è circa il 5% (per paragone: Ebola era all’80-90%). Valutiamo le due reazioni al morbo, dell’Autorità sociosanitaria e della cittadinanza, limitandoci a una rapida riflessione sul vissuto della collettività: quello, per intenderci, che per alcuni analisti abita nell’inconscio collettivo, e che le neuroscienze localizzano nel lobo limbico.

Oggi, il mondo globalizzato si scopre vulnerabile: perché non ci sono più barriere, e non esistono protezioni rassicuranti fra il Sé e l’Altro. Al contrario, c’è un effetto acceleratore e moltiplicatore di ogni contatto e di ogni contagio. E allora noi affronteremo al contempo un virus e un fantasma. Il primo riferisce al medico, ed al biologo; il secondo piuttosto al sociologo, allo psicologo, e considerando il ruolo determinante dell’Educatore socio-sanitario.

Questi specialisti dovranno interpretare, e gestire, tre meccanismi di difesa basici:

  1. L’enfatizzazione: è superfluo descriverla, la stiamo vedendo al massimo grado in questi giorni. Beninteso, ogni azione di prevenzione è apprezzabile in sé. E i provvedimenti atti a risparmiare vite umane, per quanto onerosi per la vita economica e sociale, hanno una loro razionalità e meritano rispettosa attenzione. Ma allora, perché molti altri contagi ben più letali (epatite, papilloma….) non ottengono pari pubblicità? È un controsenso palese, dopotutto la curva di proiezione della letalità di COVID-19 è simile a quelle di una normale influenza stagionale – almeno finora.
  2. La negazione: è un meccanismo regressivo, arcaico, e proprio per questo ha una potenza primaria. Per analogia o per contrasto, il collasso nell’irrazionale dei No-Vax, dei falsi profeti del Metodo Stamina, dei guaritori del cancro, (citiamo soltanto la storia recente, è meglio….) e di tutti coloro che chiudono gli occhi di fronte al positivismo scientifico della ricerca medica, si ripresenta in forme diverse, e causa uno spreco di risorse ed un aumento di sofferenze difficili da quantificare. Nel caso presente, il clamore intorno a COVID -19 serve solo per confondere le idee di un pubblico disorientato dall’attuale “epidemia mediatica” di notizie.
  3. la proiezione: le circostanze e gli eventi sgraditi o controversi vengono allontanati da sé stessi e attribuiti a “soggetti altri”: ai cinesi, a volte aggrediti anche fisicamente come “untori”; o al contrario agli italiani che viaggiano, e che si vedono sottoposti a tragicomici “respingimenti” persino dalla Nigeria (che, sia detto per inciso, secondo l’OMS ha uno dei peggiori sistemi sanitari al mondo). Spiace ricordare che un nuovo contagio comparso nel 1982 a San Francisco era stato inizialmente denominato GRID: Gay Related Immunodeficency Disease, addebitandolo specificamente agli omosessuali, ai “diversi”. Poi, capita l’insensatezza della discriminazione, è invalso il nome appropriato: AIDS (Acquired Immumo Deficency Syndrome). È un esempio esplicito fra i tanti, che dimostra come una malattia, soprattutto se è contagiosa, diventa un catalizzatore di emozioni e di intolleranza; oppure, e al contrario, può essere utilizzata come “laboratorio” per bonificare questi stessi meccanismi, evocando dei livelli profondi che nell’ordinario quotidiano sono meno accessibili. E ancora: lasciando ai medici il loro lavoro oggettivo, e concentrandosi sulla nostra percezione soggettiva del rischio-salute: dovremo riflettere sul razzismo strabico di chi pretende la massima sicurezza e comfort per il proprio turismo esotico, ma guarda con distratta indifferenza alle epidemie che – quelle si – stanno facendo stragi nei Paesi in via di sviluppo mentre noi stiamo leggendo queste righe.

Tutto sbagliato, allora? No, non proprio. La febbrile agitazione di questi giorni intorno ad una patologia che è reale, ma ben inferiore ad altre contemporanee e più gravi, se è molto ben gestita sarà utile come sensibilizzazione, e addestramento, e responsabilizzazione del corpo sociale nel suo insieme – cittadini, operatori socio sanitari – per l’eventualità di altri e più gravi problemi in futuro.

Un solo esempio, e non molto rassicurante: un algoritmo epidemiologico prevede che la normale influenza annuale, periodicamente, assuma un impatto devastante, e l’abbiamo già visto: la Spagnola, l’Asiatica….. Ora, è prevedibile che “The Big One” stia per tornare. L’iperattività ridondante intorno al nostro COVID 19 potrà servire, se non altro, come “prova generale” dei metodi di contrasto verso qualsiasi epidemia futura: dalla collaborazione attiva fra le parti sociali, ad ogni potere di coercizione e di sanzione, sempre commisurato alle esigenze composite del singolo cittadino; e guidato dal preliminare supporto, chiaro e razionale, dell’evidenza scientifica.

di Andrea Castiglione Humani

 Docente Scienze biomediche e Bioetica

 Istituto Universitario Progetto Uomo

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