Casale Monferrato: quando gli alberi erano grigi

Era la fine degli anni 70 quando quello che era un semplice sospetto diventa una convinzione. La ditta Eternit, che a Casale Monferrato aveva un suo stabilimento, produceva materie e manufatti di cemento e amianto, il fibrocemento. L’Eternit non era solo una fabbrica che dava lavoro, l’Eternit generava anche morte. Un significativo incremento di morti: i danni causati dall’amianto lavorato non si sono limitati ad interessare la popolazione esposta professionalmente ma riguardano anche l’ambiente con i sui abitanti. Troppi infatti i decessi per patologie professionali e troppi anche quelli fuori dalla fabbrica. Asbestosi, carcinoma polmonare e Mesotelioma maligno erano parole di morte per la popolazione di Casale.

L’Eternit sbuffava la polvere delle sue lavorazioni che come un velo di nebbia ha coperto per anni ogni cosa in quella cittadina piemontese. La polvere grigiastra non caratterizzava soltanto la fabbrica, ma tutta la città. Si diffondeva all’esterno, coprendo vie, case, vigneti. Nelle vigne negli orti i pomodori e l’uva non avevano più i loro colori ma sembravano sempre coperti di borotalco. La strada che collegava la fabbrica al centro della città aveva uno strato di due, tre centimetri di polvere. Molti ricordano di non aver mai visto un albero verde, erano grigi come grigio era tutto intorno, anche le campagne.

L’Eternit era un traguardo molto ambito, era considerata una fortuna: la Società era grande, il lavoro sicuro, le retribuzioni erano superiori rispetto agli altri salari. Tutti volevano occupazione in quella fabbrica per il benessere della propria famiglia e dei propri figli e i figli, a loro volta,  seguivano i padri. Una buona retribuzione permetteva di realizzare i propri obiettivi, come far studiare i figli, o realizzare una casa di proprietà dignitosa. In città era evidente che quella fabbrica dava un certo benessere.

Nessuno inizialmente, aveva la percezione che di amianto ci si potesse ammalare e poi morire. Solo in seguito, intorno agli anni ’70, incomincia a prendere credito la convinzione che l’attività lavorativa dell’Eternit sia accompagnata da una drammatica sequenza di patologie professionali. Dubbi e sospetti si insinuano tra la popolazione. Tutta la fabbrica infatti era caratterizzata dalla presenza di “polvere”. Così si diceva: l’amianto a Casale era la “polvere” e “la malattia della polvere” veniva chiamata anche la malattia che tantissimi operai si prendevano lavorando lì. Il nome vero di questa malattia era “asbestosi”, di asbestosi si ammalarono centinaia di operaie altrettanti ne morirono: soffocati, perché la polvere di amianto inalata sul posto di lavoro si depositava nei polmoni, riducendo la possibilità di respirare. Si viveva per mesi, a volte per anni, a letto, respirando con l’aiuto di una bombola d’ossigeno e alla fine si moriva, appunto, soffocati. Lutti e funerali, dolore senza fine. La morte a Casale era la quotidianità. La morte a Casale era vestita di bianco.

Ma quello che colpisce in maniera impressionante sono le morti premature, quasi non si arriva a sessant’anni. La spina forte nel fianco, un vertigine dolorosa col timore di non riuscire ad arrivare alla pensione.

Operai dell’Eternit con il pensiero della morte che li accompagna molto spesso, senza poter vomitare la rabbia di dover contare i giorni, perché dal mesotelioma non si guarisce. Nessuno, mai.

Malattie che seguono definitivamente il destino umano, malattie che si manifestano con decoroso ingravescente. Morti e malati ingrigiscono di più la città. Nonostante i tentativi degli operai di proteggersi come possono durante i turni di lavoro, spesso sono proprio loro a portare nelle loro case le fibre con le loro tute da lavoro. e le fibre di amianto sono invisibili e volano su tutto,  le respirano comunque. Così la polvere continua la sua opera di invasione silenziosa.

Si misero in fila i nomi dei morti, degli operai morti perché diventavano numeri importanti e quando i numeri diventano importanti bisogna tenerli in considerazione. Insomma agli inizi degli anni settanta si inizia ad avere la consapevolezza che a Casale di amianto si muore. L’allarme arriva però da operai e sindacalisti, una voce contrapposta a quella classe dirigente dll’Eternit con la sua capacità di contro – informazione in grado di condizionare gran parte dell’opinione pubblica. Capace di minimizzare i rischi della salute fino a negare la presenza della polvere nei reparti. 

Una classe dirigente che dava l’impressione di essere una grande famiglia. All’Eternit si lavorava con una retribuzione da favola e con incentivi e regalie che fabbrica generosamente elargiva ( il litro d’olio d’oliva al mese a ciascun operaio oggi suona come un’elemosina, ma non appariva tale in quegli anni) ma anche con controlli sanitari periodici (il furgone medico che visitava periodicamente gli operai all’ingresso in fabbrica) cure termali, borse di studio ai giovani, befana per i bambini, attività ricreative e “promozioni facili” e incentivi economici per chi non “rompeva le scatole”. 

Per questo motivo non era facile spostare l’attenzione sulla salute e dimostrare che all’interno di quella fabbrica si moriva. Alcuni operai affermano che l’amianto sfuso, scaricato nelle tramogge, liberava tanto di quella polvere che si potevano intravedere ai raggi del sole le sue fibre  che ricadevano su tutto anche sul cibo da consumare durante le pause. 

La polvere assassina non ha interessato solo le maestranze della fabbrica ma anche la popolazione di Casale Monferrato. L’amianto condiva abbondantemente l’ambiente Casalese e i morti collegati ad esse ormai erano troppi per essere taciuti e nel giugno del 1986 gli ultimi 350 operai ancora in attività chiudono per sempre i cancelli dell’Eternit. 

Gli alberi di Casale Monferrato ricominciarono a diventare verdi.

Il 23 febbraio 2015 l’ex Amministratore Delegato dell’Eternit, Stephan Schmidheihy viene rinviato a giudizio per omicidio volontario di 258 persone e ha inizio il processo “Eternit bis”. Con la sentenza del 29 novembre 2016 il Giudice per l’Udienza Preliminare modifica il capo d’accusa in omicidio colposo aggravato e dichiara prescritti un centinaio di casi. Contro la sentenza, il 22 gennaio del 2017 il Pubblico Ministero e la Procura Generale hanno fatto ricorso alla corte di Cassazione. Il 24 gennaio 2020 il magnate belga Stephan Schmidheiny è stato rinviato a giudizio dal tribunale di Vercelli con l’accusa di omicidio volontario, per i 392 morti a causa dell’amianto allo stabilimento Eternit di Casale Monferrato. La prima udienza si terrà il 27 novembre 2020 dinanzi alla corte d’assise di Novara. “Provo odio per gli italiani e io sono il solo a soffrire per questo. Non ho intenzione di vedere una prigione italiana dall’interno” – aveva dichiarato Schmidheihy in un’intervista al Corriere della Sera.

di Eligio Scatolini e Maria De Laurentiis

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