Ama il prossimo tuo, anche in tempo di Covid

Carla non ha nessuno. È sola. Da tanto tempo è sola. Abbandonata. Vive la sua vita, tra il greto del fiume Tevere a Roma e la stazione Termini. Non ha nulla. Solo un carrello del supermercato che trascina, a volte spinge, o ci si appoggia per non cadere. Dentro ci sono le sue cose. Tutti i suoi averi. Buste di stracci sporchi, qualche pacco di biscotti raffermi, del pane duro, un paio di coperte, sudicie anche quelle, delle maglie, delle ciabatte rotte, ad altre cianfrusaglie. Carla ha i capelli crespi, unti e grassi. Non si lava da tanto tempo. Le caviglie gonfie, gli occhi semichiusi, ai piedi calza un paio di scarpe da ginnastica sfondate e di due numeri più grandi. Senza lacci. Nessuno le parla, tutti la scansano, nessuno si avvicina. Non la vedono. Fanno finta di non vederla, quasi fosse invisibile.

Giuliana ha meno di trenta anni, ha finito da poco l’università, insegna e fa le ripetizioni. Nel tempo libero ama il prossimo suo, anche in tempo di Covid. La sera con due enormi borse della spesa, cerca Carla, gli porta da mangiare e alcuni indumenti. Ogni settimana. Anche quando non si poteva uscire. Lei, usciva con la mascherina, i guanti, il disinfettante e andava a cercare Carla sul greto del Tevere. Incontrava tante altre persone, senza fissa dimora. Ad ognuno donava un sorriso, che  difficilmente si vedeva a causa della mascherina, ed un pacco di biscotti, un panino, una cioccolata. Donava ciò che poteva acquistare con i suoi risparmi e quello che recuperava dalla spesa sociale alla Caritas. Quando arrivava da Carla, la trovava infreddolita, spesso bagnata, sempre sudicia e con cattivi odori. Giuliana le prendeva le mani, mani che nessuno toccava più da tantissimi anni, le apriva, distendeva le sue dita rattrappite, le accarezzava. Poi con un fazzoletto umido le puliva. Puliva le dita di Carla una ad una. Le puliva le unghie, le tagliava. Poi di nuovo le accarezzava. La guardava, lei teneva la testa china, allora Giuliana delicatamente con la mano, le alzava il mento. Carla piangeva. Dai suoi occhi semichiusi, uscivano lacrime di commozione, di speranza. Carla piangeva. Le sue lacrime scendevano lungo le guance arrossate e screpolate, per giungere fino alle labbra. Carla la guardava, la lasciava piangere, sapeva che quelle erano lacrime di gioia di una donna che mai nessuno aveva trattato da donna. Carla sentiva il suo respiro, affaticato, convulso, ma sentiva anche il suo cuore che batteva con il suo.

Per due settimane Giuliana non era potuta uscire a causa del lockdown, aveva chiesto il permesso alla polizia municipale, ai carabinieri, ma nessuno sapeva dargli delle risposte su come comportarsi. Intanto si atteneva alle regole. Non voleva rischiare il contagio ne di trasmetterlo. Dopo due settimane i carabinieri gli dissero che per motivi urgenti poteva muoversi con tutte le cautele, solo per il tragitto da casa fino  al luogo dove dormiva Carla. Ma Carla, non aveva un luogo. Non aveva una fissa dimora.

 Il greto del Tevere è lungo. Con molta pazienza, ma anche con molta paura del contagio, arrivo al fiume. Carla non c’era. Aspettò e aspettò. Ma Carla non c’era. Finché un giorno, arrivo al fiume, da lontano vide il carrello del supermercato, pieno di buste e cenci. Carla doveva essere lì, da qualche parte. Camminò sull’argine del fiume, camminò e camminò. Poi la vide. Adagiata a terra. Bagnata. Infreddolita. Tremava. Le corse incontro. Voleva abbracciarla. Ma non poteva. Si sedette vicino a lei, sulla terra bagnata. Le prese le mani. Le accarezzò. Le accarezzò il viso guardandola negli occhi. Piangeva. Giuliana piangeva. Anche Carla piangeva stringendogli le mani, poggiandosele sul suo cuore, come a dire: ama il prossimo tuo come te stesso, anche in tempo di Covid.

di Claudio Caldarelli

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