Essere alternativi nel XXI secolo

Viviamo in un mondo in cui il capitalismo, il neoliberismo e il consumismo, come sistema di relazioni di classe e dinamica economica, crea enormi danni alla vita delle persone e al pianeta. La distruzione cosciente dell’ambiente e i cambiamenti climatici ne sono la testimonianza più diretta è visibile. Ma i danni maggiori sono noti principalmente come la povertà e la precarizzazione in un quadro generale di abbondanza, concentrazione di potere e di ricchezza che generano migrazioni bibliche e minano la democrazia. La cultura del denaro, o del dollaro, alla Paperon de Paperoni, la concorrenza spietata, immorale, l’individualismo egoista, erodono la il concetto del vivere in comunità, distruggendo l’etica solidale dell’intera umanità. Le forme di dominio, di assoggettamento di altri popoli, le annessioni territoriali, economiche e finanziarie, violano i diritti universali dell’autodeterminazione. Gli imperativi del profitto, del massimo profitto ottenuto sullo sfruttamento di milioni di lavoratori sottopagati, del tenere le donne segregate e ulteriormente sottopagate, lasciate sole contro le violenze, i maltrattamenti e gli stupri, frutto di questa cultura misogina e maschilista. Il consumismo sfrenato di merci e beni superflui che producono spreco e montagne di rifiuti, minano alla base i valori universali della fratellanza. La crescita, la rincorsa alla crescita inutile, ci spinge verso disastri ambientali non più recuperabili. Inizia ad esserci una presa di coscienza intorno a questi problemi globali, tuttavia l’idea di una alternativa concreta al capitalismo-consumismo, che eviterebbe questi disastri e renderebbe la vita migliore, sembra irreale. Coloro che si impegnano per costruire una alternativa al quel sistema marcio e dannoso, vengono tacciati di “utopia” come se le utopie fossero pandemie. No. Non è così. Lo diciamo con forza, le utopie sono positive, portano speranza dalla quale nasce il benessere. L’ultimo secolo è servito a dimostrare di quanto sia dannoso il capitalismo, di quanto non ha risolto nessun problema anzi li ha  globalizzati, peggiorando la condizione di vita dei 3/4 della popolazione. Anche molte persone che credono nella energia e nell’opportunità di una economia solidale basata sulla eguaglianza e sulla fraternità, in alternativa al capitalismo, c’è poca fiducia che una azione emancipatori di tale portata sia politicamente realizzabile. Non è così. L’utopia, il sogno della nostra utopia è realizzabile, in particolare adesso che abbiamo un grande alleato come Papa Francesco, che rompendo gli indugi e qualsiasi schema precostituito lancia la più grande sfida di tutti i tempi: “salario garantito universale”. Una proposta talmente utopica che nessuno fino ad oggi, anche se l’aveva pensata, aveva avuto il coraggio di farla. Il problema non è la capacità di immaginare l’obiettivo di una trasformazione sociale emancipante, quanto quello della costruzione di una strategia per conquistare quell’obiettivo. Quando l’obiettivo non è il miglioramento del sistema esistente, ma la trasformazione radicale, dalle fondamenta, di un sistema economico globale. Una cosa sono i miglioramenti di particolari condizioni di vita, un’altra cosa è voler cambiare, sostituendo, un sistema economico. Può sembrare una utopia, ma non lo è. Per garantire un salario globale, è necessario redistribuire la ricchezza, cioè togliere il profitto. Significa costruire scuole e ospedali, trattori e biciclette, forni del pane e campi di grano. Significa azzerare il lusso, le merci superflue, lo spreco e principalmente significa non costruire più le armi. Sostituire l’economia della guerra con l’economia sociale della pace. Un’utopia possibile. Si l’utopia è possibile ed è bello crederci.

di Claudio Caldarelli

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