Un 25 aprile di Speranza

Il 31 gennaio 2016, Sergio Mattarella, come primo atto della sua elezione a Presidente della Repubblica Italiana, in forma privata, si recò alle Fosse Ardeatine.
Il 25 aprile di quest’anno, da solo, ha salito e disceso le scale dell’Altare della Patria.
Da solo, lentamente.
Con la mascherina della pandemia.
Con la tristezza delle difficoltà del suo popolo.
Con la consapevolezza di una economia del Paese al limite del fallimento.
Con l’amarezza per una classe politica che non ha altro interesse che i risultati dei sondaggi. Che non ha idee e capacità per un progresso dello Stato, per un rilancio dell’economia a reintegro dei diritti e dei bisogni dei cittadini più poveri.
Che è divisa, senza speranze, anche nel momento pandemico che ci colpisce.

Come il 24 aprile, pochi giorni fa, quando nel nostro Parlamento si è ricordata la festa della Liberazione. Un ricordo che doveva essere di tutti.
Ma non lo è stato. Alcuni, mentre la gran parte dei deputati applaudiva in piedi, ostentatamente sono rimasti seduti. Come se la Festa della Liberazione dal nazifascismo non appartenesse anche a loro. Anche a loro, deputati della destra italiana, Lega e Fratelli d’Italia, nella loro determinazione di non partecipare al ricordo del 25 aprile, la Liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo.

In qualche misura, questo loro atteggiamento non mi ha disturbato. Anche se, con qualche difficoltà, per lunghi anni ho cercato di dimenticare fatti e momenti dolorosi, mantenendo solo la certezza di sapere chi era nel giusto e chi nell’errore.
Non mi ha disturbato. Perché mi sono sentito libero di pensare non ad una liberazione concessa con molte limitazioni da truppe di occupazione “alleate” che subentravano a truppe di occupazione tedesche, ma ad un impegno di donne ed uomini italiane ed italiani che si liberarono con l’impegno, la lotta, il sacrificio. Nella Resistenza.

Fu una guerra di popolo, la Resistenza. Una guerra di popolo c’è quando gli interessi di parte vengono accantonati, nel rispetto del bene di tutti; come quando la monarchia suddita del fascismo viene sostituita dalla repubblica democratica; come quando lo statuto albertino è cancellato dalla Costituzione Repubblicana.

C’è da chiedersi se oggi, in condizioni sociali ed economiche non solo conseguenti, anzi in buona misura messe in luce dalla pandemia, saremo in grado di fare altrettanto.
È fuor di dubbio che in Italia e non solo esiste una diffusa ingiustizia sociale, senza poi pensare ai popoli del terzo e del quarto mondo, per i quali è più proprio parlare di ingiustizia totale.
Ed è opinione degli studi più attenti – penso alle “15 proposte per la giustizia sociale” dell’inglese Anthony Atkinson- che la disuguaglianza di ricchezza è uno dei fattori più importanti, riduce la capacità di reagire agli imprevisti, di rifiutare cattivi lavori, di tutelare il risparmio…
Non c’è niente, in quelle proposte di rivoluzione, di lotte sanguinarie. Ma neanche niente di scontato.
Solo una analisi del da fare per realizzare con pienezza i contenuti dell’articolo 3 della Costituzione Italiana. Sul tema, ad esempio, In Italia è attivo il Forum “Disuguaglianze Diversità” che è un’alleanza culturale e politica tra otto organizzazioni di cittadinanza attiva e un gruppo di ricercatori, che mira a produrre, promuovere e influenzare proposte per l’azione collettiva e per l’azione pubblica che favoriscano la riduzione delle disuguaglianze e la giustizia sociale.
A livello generale, c’è poi il messaggio di Francesco, il comunista, l’eretico, il panteista della madre terra, come lo definiscono i difensori del profitto, del consumo, dell’intolleranza razziale. E solo perché parla del Cristianesimo delle origini, perché ricorda che negli Atti degli Apostoli, versetti 32-35, si legge:
«La moltitudine di quelli che avevano creduto aveva un solo cuore e una sola anima, e nemmeno uno diceva che fosse sua alcuna delle cose che possedeva. Ma avevano ogni cosa in comune. E con grande potenza gli apostoli rendevano testimonianza della resurrezione del Signore Gesù, e immeritata benignità era su tutti loro in grande misura. Infatti non c’era fra loro uno solo nel bisogno, poiché tutti quelli che erano proprietari di campi o case li vendevano e portavano il valore delle cose vendute e lo depositavano ai piedi degli apostoli. Quindi, si faceva la distribuzione a ciascuno, secondo che ne aveva bisogno».

C’è la pandemia, tra noi, e in tutto il mondo. Un virus che è uguale nel contagio per tutti, ricchi e poveri. Ma che ci fa capire (vedi situazione negli USA) quanta differenza ci sia ancora tra chi si può permettere una sanità a pagamento e chi ne è privo.
Non sarebbe male se tra le tante statistiche che ci propongono ce ne fosse anche qualcuna relativa al reddito e al livello sociale dei contagi e dei decessi…

E c’è un uomo che da solo, con la mascherina è salito e sceso all’Altare della Patria, in una piazza Venezia deserta.
E c’è un altro uomo, che da solo, in una piazza San Pietro deserta, ha parlato Urbi et Orbi di solidarietà, di fratellanza, di amore per il prossimo.
Dopo la pandemia, avremo un mondo diverso, di necessità.
Che sarà migliore, se le loro parole e le loro intenzioni saranno un riferimento per le donne e gli uomini della terra.

di Carlo Faloci

Print Friendly, PDF & Email