Il libro “Per questo mi chiamo Giovanni”. Quando la lezione di legalità e coraggio non si fermò a Capaci.

Nella vita di chi scrive libri, durante gli incontri nelle scuole o in altri luoghi di ritrovo, quando si parla di Giovanni Falcone, prima o poi quella domanda arriva sempre. Attesa, come se non ce ne fossero altre in fila a seguire il proprio turno.

“Tra i tuoi libri, quale preferisci?”. La risposta arrivava sempre in due tempi. La prima era la regola: “Per uno scrittore, i libri sono figli e un padre non fa mai torti o privilegi”. Poi l’eccezione: “Però è vero che un paio di libri mi stanno un po’ più a cuore degli altri”. Uno è la “La vita è una bomba” (2001), ambientato a Sarajevo, il primo libro che ho pubblicato, il secondo è “Per questo mi chiamo Giovanni” – racconta Luigi Garlando.

A questo libro, seppur non il primo, sono particolarmente legato. Non perché sia stato il mio romanzo più venduto e perché, dopo sedici anni e una trentina di ristampe, sia diventato di fatto un libro di testo, ma perché sapere che migliaia di ragazzi hanno imparato la splendida lezione di legalità, coraggio e generosità di Giovanni Falcone attraverso le mie pagine resta, di gran lunga, la più grande gratificazione da scrittore.

Lo presentai la prima volta nel Salento, a Calimera, paese natale di Antonio Montinaro, uno dei ragazzi della scorta morti a Capaci.

Sinceramente non pensavo che i ragazzi si sarebbero appassionati in questa misura per l’avventura umana e professionale di Giovanni Falcone. Anzi, temevo di annoiarli raccontando loro una storia che rischiava di cadere nella predica moraleggiante: i buoni, i cattivi, la legge…

Lo stesso argomento mafia era una sfida non banale. Da “Per questo mi chiamo Giovanni” in poi si è sviluppato un ricco filone della narrativa per ragazzi sulla criminalità organizzata, che ha toccato soprattutto la camorra, e che è arrivato anche al cinema. Ma nel 2004 parlare di mafia ai ragazzi era una sfida quasi senza precedenti, infatti il primo editore cui lo proposi lo accettò, ma lo tenne nel cassetto e io lo pubblicai altrove.

I ragazzi, per costituzione d’anima, sono i più vicini alla carica ideale che ha alimentato la missione professionale del magistrato palermitano, i più pronti ad apprezzare il valore delle rinunce in una “vita da topo”, come scritto nel romanzo: le nuotate all’alba per evitare attentati, l’impossibilità di andare al cinema, allo stadio, ai ristoranti e qualsiasi divertimento pubblico, la negazione persino della gioia più alta, la paternità (“Non mettiamo al mondo orfani”). Il tutto per servire un ideale e per migliorare la vita degli altri. Quando negli incontri si ragiona di questo aspetto, faccio sempre notare che, in tutte le foto che abbiamo, Falcone e Borsellino sorridono. Non erano flagellanti che amavano il dolore, alla sera non si inginocchiavano sui ceci per soffrire. Erano due amici che amavano la vita. E allora cosa avevano da sorridere in quelle vite blindate “da topi”? Con la domanda voglio infilare nelle tasche dei ragazzi un sospetto: forse quel sorriso, la felicità in genere, non ha tanto a che fare con le cose che abbiamo o facciamo, ma con un ideale profondo, da vivere con passione, che dà senso a tutte le nostre azioni. Può essere la legalità, ma anche la conoscenza, una professione, una persona da amare…

Probabilmente quel “sospetto” è il regalo più prezioso che Giovanni Falcone fa ai suoi giovani lettori. Attorno alla storia vera del magistrato ho costruito una cornice di fantasia: un padre palermitano che racconta al figlio, nato nel giorno di Capaci, chi fosse il magistrato di cui porta il nome. Lo fa perché Giovanni è vittima di un bullo, anche se non lo dice, e ragionando di certi meccanismi (l’omertà della paura, il coraggio delle scelte), il padre è convinto di poter avvicinare la soluzione del problema. La cornice mi ha aiutato ad avvicinare ancora di più Falcone al mondo dei ragazzi. La lezione del magistrato ha una modernità tutta sua che cresce nel tempo invece di consumarsi. Ogni volta che la politica, intossicata dagli interessi di parte, si affanna e sgomita in cerca di visibilità, il bosco di carta dei giovani lettori di Falcone diventa il rifugio ideale. E’ aria buona da respirare, è cielo terso da osservare, è sole a riscaldare pelle e ideali, è quasi un modo perfetto in cui i cattivi prima o poi soccombono per sempre, mentre i “buoni” continuano a vivere in eterno nei loro gesti, attraverso le loro parole e le loro azioni.

Con la speranza che tutti i ragazzi oggi possano nutrirsi di questi valori.

di Stefania Lastoria

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