La guerra tra poveri umani

Tutti auspicano, anzi professano che dalla pandemia si esca nella direzione che loro più desiderano. Questa direzione è relativa alla loro particolare posizione nel mondo. Ossia dipende dal loro particulare, per dirla con Guicciardini. E siccome un cambiamento inevitabilmente ci sarà, si cerca di spingerlo verso i propri interessi. Soprattutto i grandi imprenditori sono preoccupati che il mutamento possa intaccare la loro supremazia sulla società mondiale. Hanno fretta che la macchina torni a produrre come prima, anzi, meglio di prima, ossia con più efficienza e profitti. Lo dicono chiaramente nelle loro interviste, apparizioni tv e interventi sui social. Chiedono soprattutto che la valanga di soldi che l’Europa sta varando finisca nelle loro casse. Il titolare di una mega impresa edile italiana non lo ha mandato a dire. Quei soldi devono finire nelle sue betoniere. E se a qualcuno fosse sfuggito sta bombardato gli schermi con un suo costoso spot pubblicitario. Ma per fare cosa? Continuare a cementificare coste, fiumi, valli e convalli? O acidificare l’aria, le nuvole e i mari, oltre che devastare i polmoni di lavoratori e abitanti, squarciando autostrade a quattro corsie alla possibilità del virus di colpire più facilmente le nostre vie respiratorie.

Che cosa conta qualche milione di morti nel mondo, di fronte alla possibile morte del profitto? Per quanti ne possono morire la massa umana sarà sempre in grado di riprodursi per tornare alla catena. E proprio perché massa. E il professore Edward Luttwak ha detto – brutalmente come suo solito – anche che il modello sanitario americano è basato unicamente sulla possibilità dei medici di fare soldi. Ossia: non in primo luogo di curare, ma primum: arricchirsi. La morte di milioni persone viene così a rappresentare un’occasione preziosa. A essere spazzati via, infatti, sono soprattutto pensionati, malati, handicappati, poveri, che assorbono risorse, cure, servizi sociali che pesano prolungatamente sul bilancio nazionale, inceppando strutturalmente anche l’efficienza del sistema. Prolungatamente, perché proprio grazie a tali cure e servizi si è allungata la vita media delle persone in Occidente, sempre più prossima alla soglia dei cent’anni e destinata a sorpassarla.

Per questo non dobbiamo considerare pura follia, senza alcun fondamento, la conduzione governativa del contagio non solo nel Nord e Sud America, ma anche in altre zone del mondo, persino d’Europa. Tale conduzione risponde a un preciso, lucido per quanto cinico calcolo biologico. Più morti ci saranno, più sopravvivranno unicamente i forti. Ossia, i più protetti economicamente, socialmente. Non solo questi, però, ma anche i giovani, che solo in maniera statisticamente scarsa sono colpiti dal Coronavirus. Alla fine del contagio, chi più sarà stato colpito da esso, più prepotentemente tornerà a produrre sui mercati mondiali, essendosi alleggerito dalla zavorra di redditi, diritti e mentalità non digitale, ma analogica indissolubilmente legata allo scorso secolo. La corsa e l’accaparramento del nuovo oro, ossia del vaccino, deve servire solo a proteggere e far correre di più i sopravvissuti. Soprattutto i giovani che saranno la nuova web-massa, da controllare elettronicamente, sottopagare e sottomettere da remoto.

E paradossalmente i giovani potrebbero già ora essere asserviti a simile calcolo cinico planetario. I redditi da pensione e risparmi degli anziani sono ormai, in modo socialmente diffuso, l’unico ammortizzatore sociale per tanti giovani disoccupati e pauci pagati. Ciò non toglie che tali redditi-diritti possano essere considerati proprio dai giovani degli intollerabili privilegi del passato, che sottraggono, negano risorse al loro presente e futuro. La spinta a riaprire tutto e subito nell’attività economica, nella libertà di movimento e d’incontro, con o senza distanze e dispositivi di protezione, agisce su questo più o meno inconscio riflesso cinico-genetico.

Per questo il post contagio non può essere il particulare, ma deve essere necessariamente la totalità, l’insieme dell’esistente, sia vivente, sia inanimato, perché la concezione dell’ambiente come riserva di risorse al solo servizio dell’uomo non può oggi e domani che accentuare la guerra tra poveri umani

di Riccardo Tavani

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