Obsolescenza programmata

Tutto scade. Tutto si guasta. Tutto si butta. La cultura dell’usa e getta è l’anima nascosta del consumismo e dell’inquinamento del pianeta. Oggi tutto viene costruito per durare poco, rompersi dopo un periodo calcolato e non più riparabile perché conviene acquistarne di nuovi. Si chiama “obsolescenza programmata” serve al Sistema consumistico per indurci a sempre nuovi acquisti. Produrre di più per consumare di più, quindi inquinare di più. Qualsiasi oggetto, elettrodomestico o utensile, hanno una data di scadenza , come il latte, il burro o lo yogurt. Nei tempi dei miei genitori, le cose venivano costruite per durare. Si tramandavano tra  genitori e figli. Sopravvivevano a chi le aveva acquistate, raccontavano la storia della famiglia. Erano la memoria della casa. I ricordi, ogni volta che prendevi l’oggetto tramandato, affioravano. Raccontavano di cose passate, come esempio per oggi. Le bottiglie erano vuoto a rendere. Oggi sono vuoto a perdere. Così abbiamo il cassonetto del vetro. L’acqua, bene comune e primario, era gratuita, pubblica e potabile. Usciva dai rubinetti di casa, oppure si andava alla fonte a riempire la brocca. Oggi non è più potabile. Si compra. Al supermercato. In bottiglie di plastica, che poi vengono buttate via. Si dice riciclate per farci sentire meno in colpa. Così abbiamo il cassonetto della plastica. 60 milioni di italiani, 60 milioni di bottiglie di plastica al giorno. Riciclata, che essendo una bella parola, sembra che non ricopra gli oceani. Ritorniamo al consumismo. Agli oggetti usa e getta. Questi oggetti, sono programmati per rompersi dopo un certo periodo. Nel loro DNA c’è inserito il codice di durata provvisoria.

L’obsolescenza programmata, una definizione scientifica del fenomeno ce la spiega Serge Latouche nel suo ultimo saggio “Usa e getta. Le follie dell’obsolescenza programmata”. Perché ogni oggetto è fatto per durare un tempo prestabilito, poi si rompe. E non è più possibile ripararlo, comunque non è conveniente farlo perché la spesa sarebbe pari se non superiore all’acquisto di un nuovo oggetto. Le lavatrici, per esempio, durano tre anni le stampanti fino a 18 mila copie, la memoria di un telefono…la lista sarebbe infinita, ma uno dei casi esemplari riguarda la produzione di calze di nylon firmata DuPont de Nemours. Il primo paio di collant, nel 1940 era talmente solido che poteva servire come cavo per rimorchiare un’automobile. Ottimo, ma assolutamente antieconomico. Così gli ingegneri sono stati incaricati di fragilizzare la fibra per programmare la sua rottura.

Da quel momento, progettare gli elementi di fallibilità dei prodotti è diventata la norma. Il meccanismo è evidente: produrre di più, consumare di più, creare più inquinamento. Cioè, quello che l’economista francese Serge Latouche fa rientrare nel circolo vizioso della “crescita per la crescita”, qualcosa di nocivo agli uomini come al pianeta. Per questo è necessario cercare nuove strade alternative, verso una “decrescita” diversa dall’accumulazione  incondizionata di merci. Tornare ad avere oggetti duraturi, tramandati di madre/padre in figlia/figlio, racchiude dentro di se una riscoperta di quella cultura autentica che si è persa con la modernizzazione. Significa avere rispetto di quegli oggetti, così scrupolosamente custoditi, per aver e rispetto dell’ambiente in cui quel prodotto viene forgiato. Insegnare le generazioni future a bere nel rubinetto di casa, mettendo la bocca sotto il getto, bagnarsi la gola e la maglietta. Oppure dire riporta le bottiglie al negozio e ti prendi il deposito come mancetta. Sono gesti antichi che nessuno ricorda più. Ma erano gesti veri, sinceri, erano gesti d’amore per noi e per la natura.

di Claudio Caldarelli

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