PROBLEMI DI LETTURA e SCRITTURA

silviaQuanti di noi arrivati ad una certa età, hanno percepito di aver avuto difficoltà in quello che un tempo si chiamava il “leggere, scrivere e far di conto”? In Italia, la prima generazione che ha potuto usufruire dei supporti studiati per le difficoltà di apprendimento, è stata quella degli anni ’90, mentre chi è nato prima, come me per esempio, se l’è presa in saccoccia! Ebbene sì, mentre i risultati degli studi e della sperimentazione su questi disturbi sono stati pubblicati negli anni ‘60/’70 in America, e quindi da quell’epoca si è cercato di analizzare il problema, intervenendo sui bambini con queste difficoltà chiamate in modo generico Learning Disability (Hammil 1962), in Italia invece ci si è cominciati a muovere a livello istituzionale circa una ventina d’anni dopo. È negli Usa nel 1968 che viene fatta la prima diagnosi valutativa a livello ufficiale di quei casi che in Italia, Cesare Cornoldi nel 1991, cambiando la terminologia inglese, chiamerà DSA ovvero disturbi specifici dell’apprendimento. Il fatto incredibile è che il numero di casi, da quando esiste la possibilità di fare dei test specifici per vedere se si soffre di questi disturbi, è talmente alto che ci si stupisce di quanto sia diffuso il problema. Addirittura le statistiche abbastanza recenti (2017/18) del Miur, ci informano che si oscilla dal 3% al 5 % del totale degli studenti di Primaria, di Secondaria di primo grado e Secondaria di secondo grado. In pratica nelle scuole elementari, medie e superiori la dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia oramai la fanno da padrone, infatti recenti indagini affermano vi siano almeno 5 bambini con DSA in ogni classe. Quello delle difficoltà dell’apprendimento è un campo nuovo quindi, in pieno fermento per quel che riguarda nuove indagini, nuovi test, screening, nuovi criteri di intervento, di strategie e di trattamento che di sicuro con il tempo e lo studio specifico, andrà sempre più evolvendo. Devo dire infatti che al momento, una vera e propria soluzione al problema, non c’è. Certo si può rendere il disturbo sempre meno pesante, ma ancora non si è trovato qualcosa che lo risolva del tutto. Positivo è il fatto che si possono però migliorare le prestazioni scolastiche, grazie all’intervento di aiuti tecnologici, come gli audiolibri per esempio, o di docenti di supporto che seguono lo studente a scuola ed in alcuni casi anche a casa durante lo svolgimento dei compiti, insieme ad interventi mirati (dispensativi-compensativi) attuabili grazie alla Legge 170-2010 che tutela i ragazzi con questi disturbi.

Ripensando al mio passato scolastico mi sono ricordata delle difficoltà che avevo con i calcoli ed il ragionamento matematico, soprattutto perché non essendo a conoscenza del problema, da brava incosciente, avevo scelto di fare il liceo scientifico! Nessuno allora parlava di discalculia, oggi ne rido, perché è buffo notare come i numeri girino nella mia testa con la velocità della luce, rendendomi impossibile anche la sola idea di fermarli per un istante, impedendo alla mia memoria di lavoro di fermarli, per processarli per mezzo della memoria a breve termine, che a sua volta dovrebbe poi passarli (per renderli un minimo archiviabili) alla mia memoria a lungo termine. Per me rimane sempre un miraggio, ricordare qualche numero. Nel mio cervello, i numeri fanno come pare a loro, passano a bordo delle loro microscopiche Ferrari sfrecciando lungo le mie vie neuronali, salutano con la manina facendo una linguaccia, mentre sfrecciano a mille all’ora davanti al pit-stop della mia misera memoria di lavoro, in tuta da meccanico con le mani sporche d’olio, che li guarda passare senza sosta, senza avere modo di fermarli e sempre più impotente con il passare degli anni. Niente da fare, questo tipo di memoria proprio non ce l’ho. Nel corso della mia vita, mi sono sfuggiti numeri più o meno importanti come le date dei compleanni, degli eventi importanti, le password numeriche, il pin del bancomat o i numeri telefonici, senza contare le risate che ho fatto fare ai miei amici nei conteggi con i soldi, il conto del ristorante oppure con i resti. Ebbene, sfatando un mito, bisogna riconoscerlo gente: anche con una discalculia grave, vi assicuro che si riesce a vivere benissimo lo stesso!

Si dà il caso però, che a questo punto della mia vita, sulla soglia della sessantina, ho deciso di capirne di più e lo studio della materia per mio diletto, mi ha affascinato, spingendomi ad approfondire le ricerche sulle sue origini, sulle cause e sui trattamenti di abilitazione previsti (non si tratta di riabilitazione, ma di abilitazione, in quanto quella determinata abilità nello scrivere o nel leggere o nel calcolo matematico, non si è perduta, perché non si è mai posseduta). Essendo una disciplina studiata da poco (cinquanta anni è considerato poco in medicina), fino a qualche anno fa non si aveva in mano un dato statisticamente valido, tanto che gli addetti ai lavori ( ricercatori, neuropsichiatri infantili, logopedisti, psicologi, pediatri, ecc) parlavano di “iceberg della dislessia” in quanto il problema era in buona parte sommerso, addirittura una indagine del 2012 riportava che più della metà dei bambini osservati, arrivati in IV elementare, non avevano ricevuto nessuna valutazione, né avevano fatto test specifici. Il fattore tempo invece è molto importante per intervenire, perché se da una parte è vero che è un disturbo che rimarrà per tutta la vita, è anche vero che prima si individua e prima si agisce, minore sarà la sua gravità con il passare del tempo. Prima della seconda elementare, non si può diagnosticare un DSA perché le fasi del neurosviluppo prima dei sette anni non risultano compiute, vanno poi considerati i ritardi fisiologici e vanno lasciate chance alla possibilità di una certa lentezza nello sviluppo di queste abilità, ecco perché fino agli otto anni non ci si fascia la testa. Bisogna però riconoscere che quando c’è un disturbo, questo si vede sin dall’infanzia, è compito di una buona madre e di una coscienziosa maestra, quello di capire al volo il disturbo: a loro va il merito di capire subito che c’è qualche problemino sin dall’asilo.

Una volta individuato, si lascia però al bambino quel tempo necessario che la natura ha prestabilito per far sviluppare e perfezionare il nostro organismo, cosa che avviene non prima dei 6/7 anni, ecco perché le diagnosi fatte prima di quella età non risultano attendibili. Mi hanno sconvolto le per me inimmaginabili cause di questi deficit, a nessuno di noi verrebbero in mente i motivi reali, oltre al ben noto fattore genetico (se indaghiamo a fondo, qualcun altro in famiglia aveva lo stesso problemino e ce lo ha gentilmente regalato), vanno aggiunti altri problemi gravissimi, quali una gravidanza durante la quale ma madre ha assunto alcool o droghe, un parto difficile, una privazione dell’alimentazione nei primi due anni di vita, oppure la mancanza di coccole e di affetto materno (nei bambini adottati è altissimo il tasso di DSA). Insomma c’è una molteplicità di cause ed una ricca serie di fattori scatenanti il disturbo. Possiamo dire che non è studiato da molto tempo, ma siamo autorizzati a pensare che sia un problema nuovo? Macché, negativo, è un problema vecchio come il cucco, addirittura il tale Filostrato vissuto nel II secolo dC, ci ha lasciato uno scritto sulle difficoltà nella lettura incontrate dal figlio di Erode il Sofista, il quale, per aiutare il figliolo, avrebbe associato alle ventiquattro lettere dell’alfabeto, ventiquattro schiavi, nel tentativo di rendere le lettere facilmente riconoscibili.

Altri casi esemplari parlano di diversi personaggi geniali quali Leonardo da Vinci, Albert Einstein o Madame Curie, Charles Darwin o Steve Jobs, senza parlare di Giulio Cesare o Napoleone, o scrittori come Hans Christian Andersen o Agata Christie, che avrebbero sofferto chi più chi meno, dei vari disagi dovuti alla disgrafia, alla disortografia o alla dislessia. È chiaro quindi che questi disturbi non comportano una mancanza di intelligenza e nemmeno rendono impossibile affermarsi nella vita, diciamo però che si fa certamente più fatica. Questo perché i soggetti bisognosi di un intervento educativo particolare, hanno un deficit in qualche parte del cervello, rimango sul vago perché purtroppo sono varie le ipotesi possibili per poterne discutere in questo articolo (per esempio nella discalculia e nella risoluzione dei problemi potrebbe essere localizzato nel lobo frontale della corteccia, invece nella dislessia nell’emisfero sinistro, oppure tutto dipenderebbe dal sistema magnocellulare).

Insomma, tagliando corto, qualcosa ci impedisce di apprendere con gli stessi schemi mentali degli altri, chi soffre di DSA ha un diverso modo di affrontare lo studio scolastico, abbiamo diversi meccanismi ed un modo personale di apprendere e immagazzinare le informazioni che è importantissimo individuare, capire e rispettare.(Immagino che i miei genitori in mancanza dei ventiquattro schiavi, non hanno potuto darmi una mano per i numeri, ma li ringrazierò sempre per la grande autonomia e la fiducia che mi hanno insegnato ad avere della mia intelligenza). È apprezzabile quindi lo sforzo di tutti, dai genitori agli insegnanti, al team di specialisti in quanto tutte le misure per far migliorare il bambino, servono soprattutto a non farlo sentire un “diverso”. Rimanere indietro nello studio, non riuscire a stare al passo con gli altri, collezionare insuccessi scolastici, magari anche essere preso in giro dai compagni (se non addirittura bullizzato), questo è il vero rischio che si corre con DSA, non è certo leggere meno velocemente, scrivere fuori dai margini o sbagliare una moltiplicazione.

Infatti la componente emotivo-motivazionale e la susseguente rappresentazione del sé, è quella che più viene danneggiata nei casi di DSA. Bambini e ragazzi che provano disagio a stare con i compagni, non si sentono all’altezza degli altri, sono portati ad avere scarsa autostima o peggio ancora a credere di essere stupidi, di non potercela fare, di non essere capaci: questo è il vero mostro da combattere. Questi bambini, vivono una serie di fatiche che li rendono psicologicamente più vulnerabili, ecco perché è necessaria la collaborazione tra famiglia, insegnanti e team di specialisti. Primo fra tutti, l’intervento della famiglia, che deve accorgersi delle difficoltà del bambino, deve supportarlo, stargli vicino, dargli stabilità e costanza nel seguire il percorso individuato da psicologi e neuropsichiatri che studiano il suo caso e che rendono possibile all’insegnante di sostegno di intervenire con un programma di studio personalizzato, che segua il ragazzo passo dopo passo. Il lavoro più grande è quello di supportare e valorizzare i punti di forza dell’alunno, l’intelligenza, la capacità di memorizzare per immagini (il figlio di Erode il Sofista, avrà ringraziato abbastanza suo padre?) senza dimenticare qualità come la creatività, la capacità di fare collegamenti inusuali e la forza d’animo. Bisogna aiutarli studiando strategie per affrontare i momenti di difficoltà, sempre attenti a dare il giusto riconoscimento degli sforzi fatti, premiare l’impegno, gratificare il ragazzo per ogni fatica e per ogni sudato risultato raggiunto, senza fossilizzarsi sul cronometro.

Quando invece il ragazzo non trova questo supporto intorno a sé, può cadere in un circolo vizioso dato dall’ansia da prestazione, infatti, quando non capisce negli stessi tempi degli altri compagni, entra in un loop dal quale è difficile uscire: innanzi tutto si distrae perché non capisce, il cervello abbassa il livello di concentrazione e quindi comincia a capire sempre meno e a rimanere indietro( nella lettura del brano, nel copiare alla lavagna, nel fare un calcolo aritmetico, nel fare i compiti a casa) comincia ad entrare in confusione, si distrae ancor di più, ed ecco che aumenta l’ansia ed il terribile pensiero di non essere capace, di non essere all’altezza, di non saperlo fare. Il verme che mangia la mela dall’interno, fa la sua strada silenziosamente ed ecco che per la paura di sbagliare e di venire giudicati, i bambini cercano di non esporsi, parlano poco, stanno in disparte, si auto- isolano, si auto-escludono.

Dobbiamo dire che purtroppo vi sono anche casi in cui vengono mal valutati dagli insegnanti che magari non si sono accorti dei problemi, non riescono ad evidenziare il problema e di conseguenza vengono derisi e presi in giro dai compagni a causa dei continui voti bassi, ragazzi spesso scambiati dai docenti per pigri con poca voglia di fare: “è bravo ma non si applica”, “potrebbe fare di più”, “non alza mai la mano per rispondere”, “si mette sempre all’ultimo banco”, insomma se non si scopre il problema e si interviene prontamente, la carriera scolastica del poverino è segnata.

Queste sensazioni di inadeguatezza sono il vero dramma occulto e il pericolo costante nei casi di DSA, infatti, i pensieri negativi sono la vera minaccia, ecco perché è di fondamentale importanza scoprire subito il disturbo, fornire allo studente la motivazione che ha perduto, dare un senso positivo a tutto ciò che fa, anche se ha fatto meno lavoro rispetto agli altri compagni, è fondamentale comunque evidenziare il merito per averlo fatto, accettando i suoi tempi e i suoi diversi schemi di pensiero. Valorizzare e premiare ogni suo sforzo è l’arma per rafforzare la sua autostima, proprio perché la forza interiore è la chiave per vincere la battaglia contro la convinzione di non poter modificare le proprie capacità. Purtroppo, quando ci si sente inferiori ai propri pari, subentra la convinzione che disgraziatamente porta inevitabilmente all’emarginazione, alla depressione ed al poco amore per sé stessi. Sfortunatamente è ancora altissimo il dato di suicidi in età adolescenziale a causa degli insuccessi scolastici, quasi 200 ragazzi ogni anno perdono la vita perché si sentono di aver fallito o perché vengono bullizzati per i loro insuccessi a scuola. Un consiglio? Parlarne, tirare fuori il disagio, mettere a nudo il problema, non vergognarsi di portare il proprio figlio a fare un test diagnostico, affrontare il discorso con i docenti, far seguire il ragazzo da psicologi che rafforzeranno la sua autostima e che lo seguiranno durante il percorso scolastico.

Nulla è perduto se si prende il problema in tempo, poco importa se in futuro, nostro figlio, leggerà più lentamente degli altri, questo non sarà un grosso problema per lui, perché gli avremo insegnato a vedere tutti gli altri punti di forza che ha, magari sarà un bravo musicista, un ottimo tennista o una brava ballerina. Spero quindi sarete d’accordo con me se dico che, non importa a nessuno se una come Agatha Christie abbia impiegato più tempo degli altri per leggere un suo libro: la cosa importante è che ha scritto comunque un capolavoro!

di Silvia Amadio

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