Stop al consumismo, ritorniamo a essere belli

Dagli anni ’70, dopo aver risolto le questioni di primaria necessità del dopoguerra, non abbiamo fatto altro che generare e inseguire bisogni immaginari. Ben assistiti dalla macchina del consumo e da quella mediatica (che Pasolini definisce nuovo fascismo ndr) la nostra società, la nostra cultura, hanno spostato giorno per giorno sempre più in là l’asticella del benessere, sostenendo che sempre più condizioni, sempre più oggetti, sempre più servizi fossero necessari per acquisirlo e mantenerlo.

Pubblicità e informazione hanno reso questi concetti immaginario collettivo, e tutti, più o meno, abbiamo iniziato a inseguire quelle icone. Per farlo, anche in periodo di crescita economica, è stato necessario mettere in secondo piano ogni cosa. Se l’acquisizione di beni era il fine, lo strumento era il denaro e  l’unico modo per produrlo: il lavoro. Con un lavoro da 40, 50 ore a settimana sulle circa 60 diurne disponibili e con il denaro che ne fruttava, abbiamo iniziato a sentirci felici, inseriti, moderni. Non ci sfiorava neppure il sospetto che il costo di questo benessere fosse eccessivo. Non ci siamo neppure posti il problema che si trattasse davvero di benessere. Il mondo nordoccidentale non è in decadenza solo perché la politica è fallita. Decade per l’egemonia della cultura mercantile, che è stata fin qui incapace di perseguire altro che la produzione di beni, la loro promozione, distribuzione, vendita, senza che vi fosse una armonizzazione tra questo e il resto: il tempo che corre e non torna, le relazioni con se stessi e gli altri, l’equilibrio psicologico e spirituale, l’armonia con l’ecosistema circostante.

La cosa più grave a cui assistiamo oggi è che l’immagine di milioni di persone che passano il loro tempo libero nei non-luoghi dei centri commerciali non pare penosa a tutti, non genera riprovazione, commiserazione, disgusto. Per cambiare il nostro Paese, non serve cambiare le leggi. Non servirà, almeno, fino a che non sarà mutata la cultura che le ha espresse. Occorre fare un passo avanti per superare il vero ostacolo della crescita e la salvaguardia del Pianeta, e cioè il consumismo e l’egemonia della cultura mercantile economica e finanziaria che, da tempo, si è sostituita alla politica e fa da metronomo di ogni attività umana. Per farlo, ottenendo subito il risultato di vivere diversamente, in modo più efficiente e soddisfacente, occorre togliere la propria spalla dalla portantina su cui noi, ogni giorno, portiamo in trionfo il Sistema. Occorre togliere tutto il possibile dallo spazio dei bisogni, lasciando che la presenza o meno di simboli e ruoli nella nostra vita sia accessorio, secondario, trascurabile. Occorre impiegare solo parzialmente il tempo per la produzione del reddito, il minor tempo possibile, e sfruttare le risorse solo parzialmente per la produzione di beni accessori.

La terra, come il tempo, devono essere sfruttati quanto basta per produrre e quanto è necessario per rigenerarsi e vivere in dimensioni lontane dalla convenienza  e dallo sfruttamento. Individualmente, il prima possibile, possiamo cambiare le proporzioni della nostra vita ( e collettivamente, sentendosi fratelli ndr) facendo cambiare quelle del sistema sociale ed economico. Vivere per consumare, per sprecare, per impressionare, con denaro che ci costa troppa vita guadagnare, che spesso non abbiamo, e che depaupera troppe risorse, non ha senso. Soprattutto non è bello. Ecco: tutti rivolti alla produzione, al lavoro, al consumo, abbiamo smesso di essere belli. Forse con u po di amor proprio, è necessario tornare a occuparci della nostra bellezza. Lavorare meno, lavorare tutti, per essere più belli. Consumare meno, concimare meno, consumare meno ma tutti, per far tornare  bello il Pianeta.

di Claudio Caldarelli

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