Ti conosco, mascherina!

Il grado di civiltà di un Paese si misura dai cigli dei fossi. I nostri, per esempio, sono pieni di rifiuti. Per chi corre in macchina, veloce, lo scempio non è così evidente. Lo sguardo attento al ciglio della strada è un privilegio riservato al ciclista, che procede a ritmo lento, accosta alla sua destra e tiene la ruota incollata sulla striscia bianca. Il ciclista lo vede: dove la strada finisce, lì cominciano i rifiuti. Tra l’erba spuntano resti datati: lattine schiacciate, bottiglie di plastica vuote, pacchetti di sigarette fumati, un misto di scarti assortiti di un’umanità dimentica del suo futuro. Da qualche giorno nei fossi è fiorito tra l’erba un rifiuto nuovo, figlio dei tempi difficili che stiamo vivendo: la mascherina “usa e getta”, l’avanzo di una prevenzione sanitaria ormai sfilacciata, la protezione consigliata che ormai nessuno usa più. Dal ritornello “Andrà tutto bene” alla convinzione che davvero “va tutto bene” il salto è stato breve, coi rifiuti abbiamo gettato nei fossi anche le nostre paure. Con l’arrivo della bella stagione un ottimismo non del tutto motivato si è trasformato in incauta certezza, ma l’Organizzazione Mondiale della Sanità ci dice che non siamo fuori pericolo, che la guerra contro il virus non è ancora finita. Sono trascorsi sei mesi da quando l’Oms ha ricevuto le prime segnalazioni di un gruppo di casi di polmonite da causa ignota in Cina. Ad oggi nel mondo si contano 10 milioni di casi di Covid-19 e 500 mila morti. Abbiamo fatto progressi, qualche lezione l’abbiamo imparata, ma il peggio (dice l’OMS) deve ancora venire e ci si raccomanda di non abbassare la guardia. Su la maschera, dunque.

Indossare la mascherina là dove serve è importante per tutelare chi ci sta vicino. 

Per la verità, l’uomo la maschera la usa da sempre.

Nel Sudovest della Francia, nella grotta di Trois-Frères, conosciuta per le sue pitture rupestri che risalgono a 13mila anni fa, compare tra tanti disegni di animali il graffito della “Stregone”, un uomo mascherato da cervo intento a qualche pratica propiziatoria, a qualche rito di sopravvivenza.

La maschera ha fatto sempre la fortuna del teatro, da quello greco alla Commedia dell’Arte, anche se indossarla non piace a nessuno, neanche agli attori. Con la maschera l’espressione del viso si perde, la voce ti canta addosso, non riesci ad avere i respiri esatti e quando la togli, dopo ore che la indossi, hai la sensazione di levarti la faccia. In fondo Luigi Pirandello aveva ragione: per sapere davvero chi siamo dobbiamo toglierci la maschera.

“La vita è un palcoscenico dove si gioca a fare sul serio.”

Oggi indossare la mascherina non è gesto da finzione letteraria e nemmeno da palcoscenico. E’  un gesto di protezione sanitaria. Eppure mai come adesso averla o non averla sul viso ci identifica, più che un attore, più che un personaggio di un romanzo. La mascherina indosso dice di noi e del nostro rispetto per gli altri. Poiché la mascherina “usa e getta” è una mascherina altruista, serve a proteggere non noi ma gli altri, mai come adesso il confine tra egoisti ed altruisti è stato così visibile.

di Daniela Baroncini

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