Cine-pillole senza Ennio

A Ennio Moricone. Nel suo cammino ha lasciato dietro di sé una tale astrale scia di armonie e melodie che anche l’alone della luna risuonerà di esse in queste notti di luglio.

Matthias&Maxime. Lo stile Dolan al meglio. I due amici d’infanzia del titolo devono scambiarsi un lungo bacio sulla bocca per un film della loro amica Erika. I due lo avevano già fatto per gioco da adolescenti a scuola. Ora Matthias è un giovane avvocato con carriera e dolce fidanzata entrambe già destinate a successo e sicuro matrimonio. Maxime, il volto chiazzato da un vistoso angioma che gli scende dall’occhio come un pianto, è invece ancora alla ricerca di sé stesso, è Sta lasciando Montreal per l’Australia, dove non dispera di trovarsi. Quel bacio a favore di telecamera, però, provoca un bradisisma interiore che dal sottosuolo inesorabilmente affiora in superfice con effetto crepe in espansione. Il racconto d’amore contrastato, lo sfondo caotico di famiglia e amici sono solo un pre-testo per  questo prodigioso talento cinematografico naturale che è Xavier Nolan. La sua narrazione travolge per rigature interne e composizione magmatica delle scene, le quali sembrano esse stesse rovesciare la materia recitativa sui corpi degli attori. Lo stesso regista ne dà la prova, interpretando il ruolo di Maxime. In sala.

Wasp Network. Impianto classico per una storia vera. Il regista francese Olivier Assayas compie un nuovo cambio di campo, dedicandosi a un film storico-politico, su una delle ultime vicende di spionaggio della Guerra Fredda. Per difendersi dalle continue violazioni aeree, attacchi alle località turistiche, piani per uccidere Fidel Castro, i servizi segreti cubani infiltrano loro agenti tra le fila degli anticastristi rifugiati a Miami. Assayas ricostruisce meticolosamente l’intera vicenda, intessendola di giusta suspense, con uno sguardo oggettivo, che non prende posizione, pur mostrando l’efferatezza degli attacchi dei Contras, protetti dagli americani, contro l’isola caraibica bloccata nel suo regime repressivo. Più che altro si concentra sulle vicende umane dei due piloti e del capo delle spie. Un’apparizione televisiva dello stesso Fidel Castro commenta lo scabroso caso. Penelope Cruz nel ruolo della moglie inconsapevole di uno degli agenti. Su Netflix.

Tony Driver. Grande atmosfera al confine tra Messico, Arizona e Polignano a Mare. Solo il genere documentario ci può fare incontrare singolari storie sconosciute. Pasquale Donatone nasce in Puglia, ma a nove anni è già in America. Dopo alterne vicende si trasferisce a Yuma, Arizona. Si mette a guidare un taxi, facendosi chiamare Tony Driver. Arrotonda con trasporto di droga e migranti messicani. Finisce sotto processo. Non avendo mai preso, in quarant’anni, la nazionalità americana, la legge gli consente di essere scarcerato se acconsente di essere deportato per dieci anni al suo paese d’origine. Si ritrova in Puglia, prima a vivere dentro una grotta, poi aiutato da un prete, ad abitare una roulotte e a fare l’aiutante attacchino di manifesti a Polignano a Mare, Bari. Qui lo incontra Ascanio Petrini, alla sua prima regia, ma con già una matura capacità di narrazione per immagini. Tony non ce la fa proprio a vivere in Puglia. Il film lo segue che vola in Messico, raggiunge il confine a San Luis, determinato a voler passare il lungo muro costruito dagli americani o attraversare con grande rischio il Deserto di Sonora. È qui che il film tocca la sua maggiore intensità, fondendo insieme le rughe sul volto e nell’anima del personaggio con quelle del paesaggio bruciato e tagliato del confine messicano con l’Arizona. In sala.

Nel nome della terra. In stile cinematografico tradizionale la Francia agricola tra tradizione e drammatica attualità. Pierre gestisce il Grande Bosco, il fondo terriero di famiglia. Decide di ammodernare e ingrandire coltivazione e allevamento animale, sottoscrivendo un ragguardevole prestito bancario. Presto questo passaggio all’industrializzazione intensiva mostra i suoi lati drammatici. Per ripagare il debito si sottopone a uno stress impossibile da sostenere a lungo che sconvolge anche l’equilibrio familiare. La cinematografia dei nostri cugini d’oltralpe è una delle poche che continua meritoriamente a raccontarci della terra, perché è un tema profondamente radicato nella loro cultura nazionale e ancora molto sentito. Non a caso il film ha avuto in Francia un buon successo, essendo anche una storia vera, una vicenda che continua a riguardare molti agricoltori. È la storia della stessa famiglia del regista, Edouard Bergeon, che ha esordito nel cinema con il documentario altrettanto autobiografico I figli della terra. In sala.

di Riccardo Tavani

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