Viaggio nel femminicidio. La morte annunciata di Laetitia Schmitt

Era il 2019 quando il quotidiano francese Le Monde, creò una squadra investigativa di una decina di giornaliste e giornalisti per indagare sui circa 120 femminicidi commessi in Francia (in Italia nello stesso periodo furono 73 secondo i dati dell’Istat).

Dall’indagine venne fuori che circa la metà dei femminicidi fu commessa dal compagno o dell’ex compagno della donna. La cifra è costante nel tempo e così sembra che circa 1.400 donne francesi siano state uccise in un decennio dal loro uomo o dall’ex partner, spesso al momento di separazioni non accettate e mai elaborate. Dunque il mostro è dentro casa, la persona che si ama o che si è amata. Così pensano le donne stesse confondendo spesso una patologia con un amore malato, che tutto è o è stato, tranne che amore. Tornando all’indagine svolta, per quasi un anno i reporter hanno intervistato i parenti delle vittime, i vicini di casa, avvocati, magistrati, esplorato atti giudiziari alla ricerca di modalità o schemi ricorrenti per comprendere meglio la specificità di questo tipo di crimine e dei comportamenti o dei segnali che li precedono. Nel video “In trappola, dalla sottomissione psicologica al femminicidio”, si racconta attraverso le testimonianze di donne che ne sono uscite e di esperti del settore, quel processo di soggiogamento da parte dei partner, “la morsa”, che precede spesso la violenza fisica e che porta le donne a sentirsi sole e incomprese, spesso anche per mancanza di ascolto da parte delle autorità.

Così, il giornale ha ricostruito con una lunga inchiesta il femminicidio di Laetitia Schmitt, uccisa nel 2018 dal marito da cui stava divorziando e che per anni esercitava su di lei un controllo assoluto su tutto.

La donna aveva 35 anni e due figli di undici e dodici anni.

Il 25 giugno, guardando la strada dalla porta di casa, Clément Robert (il nome è stato cambiato) osserva che l’automobile bianca con la targa del sud della Francia è ancora là. Come il giorno prima, è un po’ nascosta in fondo alla strada. Si dice che è strano, in questo quartiere di Schweighouse-sur-Moder (Basso Reno, Francia orientale) i visitatori sono rari e di solito parcheggiano davanti alle case.

Quella mattina Laetitia Schmitt stava preparando la colazione ai suoi figli prima di portarli a scuola. Il più grande riceve un messaggio dal padre che scrive: “Buongiorno, io vi amo, vi amo moltissimo”. Alle otto Laetitia accompagna prima il figlio più grande e poi il secondo a scuola, riceve una telefonata dal marito, verso le dieci torna a casa.

Dall’altra parte della strada una vicina nota che la donna non è sola, riconosce il marito, vede un coltello e il corpo di Laetitia che viene trascinato via. Subito chiama i soccorsi. Altri vicini sentono le urla della donna.

Julien Griffon, il marito in attesa dell’istanza di divorzio, viene descritto come un uomo violento. Era già stato condannato ad una pena detentiva di un anno per aver picchiato sua moglie Laetitia, pena poi sospesa ma che gli impediva per legge, di avvicinarsi a lei e alla sua abitazione, non doveva mai entrare in contatto con la moglie né farsi vedere nella città in cui viveva.

Laetitia Schmitt, come vittima di violenza coniugale, beneficiava di un dispositivo che in Francia ha l’acronimo di TGD (téléphone grand danger ossia telefono grande pericolo), uno strumento che la donna aveva attivato alle 10:10 della mattina, nel momento del reale pericolo, premendo il relativo pulsante che avrebbe dovuto allertare un rapido intervento della polizia.

L’operatore dall’altra parte non sente alcun rumore, tenta di chiamare più volte la donna e con urgenza avvisa le forze dell’ordine che arrivano sul posto, anche a seguito delle segnalazioni dei vicini, alle 10:17 quando già era troppo tardi. Laetitia Schmitt fu pugnalata più volte, immediatamente venne trasferita in ospedale dove morì la mattina successiva. Un coltello fu trovato abbandonato in strada.

Inizia una vasta caccia all’uomo per trovare Julien Griffon. La sua auto fu avvistata il giorno successivo a Mittelbergheim ma poi persa di vista. Venne ritrovata due ore dopo, a una quindicina  di chilometri di distanza, abbandonata ai margini di una foresta. Non fu facile risalire ai suoi movimenti, le forze dell’ordine lavorarono giorno e notte fino a quando, nella notte di due giorni dopo, il corpo dell’assassino venne trovato alla stazione di Ebersheim. Julien Griffon mise fine alla sua vita lanciandosi sotto a un treno.

Ebbene del problema del femminicidio se ne è parlato tanto, un fenomeno in costante crescita ma occorre comprendere che la violenza di genere è un fenomeno culturale; pertanto per potervi mettere fine è necessario un cambiamento sociale di grande portata che riveda l’intera costruzione dei due generi (uomini e donne) e ne riequilibri i rapporti di forza.

Nonostante si parli molto di questo fenomeno, nonostante la facilità con cui è possibile reperire dati, informazioni e nonostante tutte le evidenze in favore della sua esistenza (tra le quali annoveriamo anche quelle scientifiche, frutto di anni e anni di ricerche in materia), ci sono ancora molte resistenze nell’accettare l’esistenza di una forma di violenza perpetrata in maniera sistematica e continuativa contro le donne, la quale spesso viene dipinta più come una mistificazione che come un dato di realtà.

Anche in questo caso, noi stessi nel nostro piccolo, possiamo fare molto.

Basti notare che quando succedono questi fatti eclatanti, intervistando vicini o parenti, le frasi più ascoltate sono “io non ho mai sentito niente, non mi sono accorto di niente, non ho visto, non sapevo, sembrava una brava persona…”.

Una sottile forma di omertà anche questa che non aiuta, che fa sentire le donne sempre più sole e isolate, impaurite, timorose di denunciare sapendo che nulla cambierà. E allora certo occorre inasprire le pene ma avere attorno persone capaci di vedere oltre e di aiutare la vittima ad avere un supporto, una vicinanza, qualcuno con cui parlare come avviene nei centri anti-violenza, può essere già un punto di partenza che allontana da una fine tragica come quella di Laetitia Schmitt.

Sempre, impariamo a fare per gli altri ciò che vorremmo fosse fatto per noi.

Ci sentiremmo noi stessi una parte sana di questo mondo malato.

di Stefania Lastoria

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