Dopo i lampi di luce abbagliante, calò la notte nucleare

Era d’agosto quando, settantacinque anni fa, l’esercito statunitense sganciava due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.

Hiroshima fu scelta perché quel giorno sulla città splendeva il sole. E così, poco dopo le otto del mattino del 6 agosto, annunciato da un boato, esplose little boy, il primo ordigno nucleare. Sulla città e i suoi abitanti, dopo i lampi di luce abbagliante, calò la notte nucleare, rischiarata solo dagli incendi e dal riverbero delle macerie bollenti, e una fitta pioggia radioattiva. Tre giorni dopo tocco a Nagasaki.

I morti diretti dei due attacchi furono 250 mila mentre centinaia di migliaia di sopravvissuti hanno patito, da quel momento, orribili conseguenze.

Quest’anno il mondo, alle prese con un’altra sciagura, non si è curato molto della ricorrenza e anche in Giappone le cerimonie commemorative sono state celebrate in forma ridotta. Il numero delle persone autorizzate a partecipare è stato solo il 10% rispetto agli anni precedenti.

Purtroppo settantacinque anni non sono bastati per fermare la crescita degli arsenali nucleari. In tutto questo tempo è rimasta inascoltata la voce degli hibakusha, i sopravvissuti che non hanno mai smesso di allertare il mondo sui pericoli delle armi nucleari, e senza conseguenze le iniziative delle Nazioni Unite a favore dell’eliminazione delle armi nucleari.

 Intervenuto alle celebrazioni di Hiroshima con un videomessaggio, il Segretario generale Antonio Guterres ha affermato che “settantacinque anni sono troppo lunghi per non aver imparato che avere armi nucleari diminuisce la sicurezza piuttosto che rafforzarla. Oggi, un mondo senza queste armi sembra essere sempre più fuori portata e la rete di controllo degli armamenti e gli strumenti creati durante la Guerra Fredda e negli anni che seguirono per promuovere la fiducia e la trasparenza si stanno logorando. Mentre le divisioni, la sfiducia e la mancanza di dialogo minacciano un ritorno alla corsa balistica incontrollata”.

Il nostro pianeta, scosso dalla pandemia e minacciato dal cambiamento climatico, corre un serio rischio nucleare. La prospettiva di un uso intenzionale o accidentale è drammaticamente reale.

L’unica possibilità perché le armi nucleari non siano mai più utilizzate, in nessuna circostanza, è renderle illegali.  È necessario arrivare non ad una riduzione degli armamenti nucleari ma alla loro totale abolizione.

Nel corso della sua storia l’umanità, in nome del diritto internazionale umanitario, ha vietato le armi biologiche e chimiche, le mine antiuomo e i proiettili a grappolo. Questo diritto deve essere affermato anche nei confronti delle armi nucleari.

Purtroppo il Trattato per la proibizione delle armi nucleari (TPNW), un trattato internazionale legalmente vincolante adottato dalle Nazioni Unite il 7 luglio 2017, entrerà in vigore solo quando sarà stato ratificato da almeno 50 stati. L’Italia, come tutti i paesi Nato, non ha aderito.

Intanto, indifferenti a tutto, le “potenze nucleari” (Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Cina, Francia, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord) continuano a modernizzare i loro arsenali e a sviluppare nuove armi e veicoli per utilizzarli.

Niente di buono sembra profilarsi per l’umanità ma un seme di speranza può essere riposto nei giovani che già lottano per la salvaguardia del pianeta. La causa del disarmo, in questo contesto, è più attuale che mai.

di Enrico Ceci

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