L’emergenza educativa a cui non diamo risposta

Ho atteso lunedì 14 settembre, giorno di riapertura di molte scuole italiane, per avere la triste conferma della chiusura delle stesse a solo una settimana dalla sua riapertura, per il referendum popolare confermativo relativo all’approvazione del testo della legge costituzionale recante «modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari».

Il 17 luglio scorso, infatti, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, il decreto del Presidente della Repubblica, firmato, oltre che da Mattarella, anche dal Presidente del Consiglio Conte, dal Ministro dell’Interno Lamorgese e dal Ministro della Giustizia Bonafede[1], che indicava domenica 20 e lunedì 21 settembre 2020, quali i giorni prescelti per lo spostamento del referendum popolare (inizialmente doveva svolgersi domenica 29 marzo, ma a causa del Covid-19 era stato posticipato a data da destinarsi).

Dal mio punto di vista, una decisione di per sé incomprensibile, che non ha tenuto conto minimamente dell’ipotetica ripresa della scuola a settembre e dei disagi vissuti da studenti e personale scolastico tutto, già nei mesi precedenti.

Appare davvero illogico e di difficile comprensione; sembra assurdo anche solo ipotizzare una scelta del genere: e se il Governo non è stato lungimirante, in questo caso, ancora meno lo sono stati i tanti, troppi, Comuni italiani che non sono riusciti a garantire sedi alternative per lo svolgimento di tale referendum, senza il bisogno di utilizzare le sedi degli Istituti scolastici.

E dire che tanti altri Comuni d’Italia ci sono riusciti[2]. Evidentemente era possibile.

Un’alternativa che sarebbe stata funzionale non solo perché non avrebbe interrotto il lavoro appena iniziato di tanti insegnanti e del personale scolastico, che ha cercato e cerca, in questi giorni difficili, di avvicinarsi ad una “normalità”, nonostante la situazione emergenziale in cui ci troviamo.

Sarebbe stata una scelta conveniente anche da un punto di vista economico, vista la necessità, dopo il referendum, di sanificare nuovamente tutti gli spazi utilizzati a tale scopo, prima che studenti e personale rientrino nelle aule (in termini di tempo e costi).

Immagino sia complesso e difficile lo spostamento dei seggi elettorali, soprattutto in un contesto caotico come quello in cui ci troviamo. Ma, a mio avviso, sarebbe stato doveroso: fosse solo per le tante famiglie già provate da mesi di lockdown prima e di fase 1, 2, 3 (e chi più ne ha più ne metta), dopo. In difficoltà, moralmente ed economicamente: gli aiuti da parte del Governo ci sono stati, è vero, ma una babysitter non si paga sette mesi con 1200 euro. E non tutti i genitori hanno la fortuna di lavorare in luoghi in cui è possibile fare smartworking, per esempio.

Sicuramente chi ci si è trovato, in questi mesi, sa di cosa si parla. Della fatica di conciliare lavoro e figli, di mantenere una serenità necessaria alla vita, nonostante la paura e la preoccupazione per il futuro.

Ma diciamo che anche questo non basta. Si sarebbero dovuti fare tutti gli sforzi possibili (e anche impossibili) per non fermare la scuola ad una settimana dopo la riapertura (per ricordarcelo, ma i genitori lo sanno bene, bambini e ragazzi non vanno a scuola dallo scorso febbraio), semplicemente per una ragione: rispetto, verso queste fasce che hanno pagato, forse, il prezzo più alto in questi mesi difficili.

Voglio pensare che sia stato fatto tutto il necessario per tutelare la nostra salute e quella dei nostri figli, forse non si sarebbe potuto fare diversamente. Ma adesso sì.

Questi lunghi mesi trascorsi lontano dai banchi, hanno provocato disparità sociale e povertà educativa e trovare sedi alternative in questi prossimi giorni di settembre avrebbe significato, anche simbolicamente, dare un segnale, gridare ad alta voce che la scuola è fondamentale per la società: perché a scuola non si imparano solo le discipline canoniche, per così dire, come l’italiano, la matematica, la geografia, la storia, ecc.

A scuola si impara anche (e, a mio avviso, soprattutto) la relazione con l’altro, il rispetto dell’altro, la condivisione del tempo e dello spazio; si impara la morale, la bellezza, la solidarietà, la giustizia (e anche il suo contrario), l’amicizia, il coraggio: Aristotele le chiamava virtù, una parola oggi dimenticata, necessarie per la ricerca del bene dell’uomo e il bene dell’uomo, secondo il filosofo, era l’oggetto della politica[3].

A scuola si pongono le basi del futuro che ci troveremo a vivere, noi e i nostri figli: la Montessori diceva che “Vi sono periodi nell’infanzia che, una volta sorpassati senza frutto, non possono venir sostituiti nei loro effetti”[4].

Non ci stupiamo troppo, dunque, per le drammatiche notizie di cronaca che ci arrivano quotidianamente, pestaggi, omicidi, femminicidi: tutti impegnati a additare il cattivo di turno, gridandoci contro l’un l’altro; perché abbiamo bisogno di qualcuno con cui prendercela, abbiamo bisogno di sentirci al sicuro nel nostro piccolo, piccolissimo, spazio vitale. Questi atteggiamenti sono il prodotto del mondo che stiamo costruendo e dell’emergenza educativa a cui non diamo risposta.

di Francesca Mara Tosolini Santelli

 

 

[1] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/07/18/20A03946/sg

[2] https://www.repubblica.it/politica/2020/09/06/news/scuola_viminale_sezioni_seggi-266423551/

[3] Aristotele, Etica Nicomachea, Bompiani, Milano, 2017.

[4] M. Montessori, Educare alla libertà, Mondadori, Milano, 2019.

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