Se vogliamo, ci siamo anche noi

Riesce difficile, francamente, spiegarsi il comportamento in Italia dei partiti politici in questa fase temporale, quando si sta sviluppando un inaspettato e straordinario intervento dell’Unione Europea che ha abbandonato il privilegio della finanza per sostenere lo sviluppo della economia dei diversi paesi.

Si è da ogni versante sostenuto che la società mondiale, dopo la pandemia da virus Covid 19, non sarà più la stessa, anche se l’unica impostazione, quella di Francesco, che pone al centro dello sviluppo la libertà, l’uguaglianza, la solidarietà per tutte le donne e gli uomini della terra, sembra essere per ora un miraggio, un sogno troppo lontano per essere raggiunto.

Ci sarà, quindi, un cambiamento con importanti disponibilità monetarie, secondo i principi posti a riferimento del Recovery Fund (Fondo di recupero) e quelli che verranno decisi a novembre per il European Stability Mechanism (Mes),

Sarà quindi un cambiamento che potrà avere nel migliore dei casi più accentuati   connotati liberaldemocratici o socialdemocratici, come in Germania o nei paesi scandinavi, quindi con livelli elevati di occupazione e di welfare; ma un cambiamento che potrebbe anche ridursi ad aspetti sovranisti come quelli dei paesi ex est-europei presenti oggi nell’Unione Europea.

In ogni caso, sarà un cambiamento condizionato, anche per i finanziamenti a fondo perduto. Pensare che si possano avere risorse senza pagare prezzi è illusorio, si pensi al sempre citato piano Marshall, che comportò per De Gasperi la sottomissione alla politica internazionale degli Usa e la cacciata dal governo delle forze di sinistra.

E invece le forze politiche italiane di governo e di opposizione si illudono di avere mano libera, e soprattutto non si rendono conto che il cambiamento deve essere studiato, approfondito e dettagliato insieme, visto che il modello di società che ne deriverà sarà con proiezione almeno decennale.

E invece, da noi contano solo i sondaggi, non i progetti. Si ha il coraggio di riproporre l’idea del ponte sullo stretto di Messina, ma non si indicano le priorità, come quelle delle centinaia di ponti in condizioni precarie in tutt’Italia. E meno che meno si curano i dettagli operativi, i costi, le modalità di esecuzione, quasi che si possa procedere come per il ponte di Genova, quasi che non ci siano in agguato clientele e malavita organizzata.

Si pensi alla politica dell’opposizione, che è un no totale ad ogni iniziativa del governo e dell’Unione Europea; che è senza contenuti; che è una risibile finzione dell’unità della destra dei governi del pregiudicato di Arcore in versione leghista.

Si pensi alla politica dell’attuale governo, costretto a durare nonostante tutto, sì, quello “inventato” dopo la sortita di Salvini ex Papeete tra forze che oltretutto si erano fronteggiate alle elezioni, quello che miracolosamente, pressoché unico al mondo, ha saputo gestire decentemente nonostante tutto una situazione terrificante come quella della pandemia.

Da un lato c’è il partito democratico, erede delle tradizioni (non si usa più ideologie) comunista e cristiano-democratica di Berlinguer e di Moro.  

Che è una caricatura dell’idea di Zingaretti dell’unione di tutte le forze progressiste, del rapporto diretto con gli ultimi, con i più bisognosi.

Che ha forze parlamentari eterogenee anche se scelte nel passato con metodologie che dovevano garantire la fedeltà (all’allora segretario Renzi).

Che non ha la capacità di imporre le proprie posizioni, sempre inizialmente concordate, rispetto a quelle dei 5Stelle.

E dall’altro c’è l’ex Movimento 5 Stelle, prossimo Partito 5 Stelle, appena definiranno l’esecutivo, l’organizzazione centrale e periferica, un partito che sarà sicuramente minoritario.

Era un movimento con alcune proposte interessanti, come la democrazia diretta, anche se gestita dalla Fondazione Rousseau di proprietà Casaleggio. Che però è stata gestita in modo strano, in più casi.

Come sulla possibilità di alleanze politiche operative, attuata a livello nazionale sia con la Lega, si con il partito democratico, ma pressoché negata a livello regionale e comunale.

Come sulla possibilità del doppio mandato, il cui rifiuto sembrava un elemento costitutivo fondamentale (anche se era giusto il cambiamento, si pensi alla fortuna di avere trovato per la presidenza del consiglio una persona come Giuseppe Conte, di rincalzo nel governo gialloverde, ma di grande equilibrio, con instancabile capacità di mediazione nel governo giallorosso, e di positiva gestione della crisi da virus.

Come sul non utilizzo della democrazia diretta per questioni che dividono il governo, ma marginali nei fondamenti, come l’utilizzo del Mes.

Sarebbe veramente interessante la risposta in democrazia diretta.

Non è un quadro incoraggiante, quello che si prospetta per la gestione politica del paese Italia. Ma c’è una possibilità, su cui è giusto sperare, quella della crescita culturale della gente, di tutti noi.

La pandemia ci ha fatto riflettere sulle cose fondamentali e su quelle superflue.

Sta a noi, adesso, farne buon uso.

 

di Carlo Faloci

 

  

 

 

 

 

 

 

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