La morte svuotata

L’attuale pandemia da Coronavirus è un trauma che coinvolge simultaneamente e in profondità l’intero pianeta. Tale estensiva e pervasiva globalità  è forse un inedito quanto inaudito accadimento storico. Sta mettendo l’intera popolazione mondiale difronte a una faccia finora sconosciuta della morte. Nessuna guerra, sterminio, genocidio, pandemia precedente ha mai rappresentato una tale oscura minaccia e deleteri effetti in ogni angolo del mondo. Minaccia da cui non possono sentirsi garantite neanche quelle marginali enclave etniche e geografiche rimaste ancora incontaminate in esotiche isole e zone oceaniche. Ciò in ragione del fatto che il mondo non è stato mai tanto fisicamente unificato, interconnesso in modo tecno-economico sempre più sofisticato, e in ogni sua dimensione letteralmente infilato dentro sé stesso. Quale visione della morte si sta sotterraneamente delineando nell’inconscio e nell’ignoto ancora indefinito di tale trauma?

La negazione, fin dalla primissima manifestazione del virus, si è configurata quale immediata e consistente reazione umana. Negazione come riduzione a semplice influenza stagionale, seppur di diversa natura di quelle precedenti. Negazione, scetticismo che ha volentieri messo insieme politici, giornalisti, e anche diversi noti scienziati nel campo specifico. Questi, in particolare, si sono poi esibiti in acrobatiche spiegazioni a posteriori, per non perdere la faccia e, con essa la loro quotidiana super dose di esposizione mediatica. Negazione-riduzione promossa da importanti leader mondiali e nazionali per imprimere una configurazione di potere alla magmatica nebulosa di negazionismo, neo millenarismo, intolleranza, razzismo, omofobia, deliri da complottismo non solo planetario ma addirittura galattico. Nebulosa che sempre più frequentemente si mobilita, scende in piazza, non accontentandosi più di invadere i social-media, sfidando apertamente quella che viene bollata quale “dittatura sanitaria”. In realtà c’è una tacita alleanza tra tale nube tossica e chi ai vertici del potere politico ed economico mondiale soffia su di essa. Più il virus si diffonde, anche grazie a comportamenti singoli e collettivi che rifiutano le protezioni sanitarie, più i governi dovranno far ricorso allo stato d’eccezione, ossia alla progressiva limitazione delle libertà democratiche, attraverso lockdown, restrizioni locali o generali. Una volta conseguita la limitazione delle libertà di circolazione e d’incontro non sarà difficile virarla in direzione della repressione di diritti civili, politici, sociali, religiosi, sessuali. E soprattutto economici.  

Caratterizza una diversa forma di negazione, però, anche la spinta opposta a questo primo rifiuto immediato. Negazione non da riduzionismo, ma da svuotamento dall’interno, progressivo, ma costante del senso umano di morte. Gli inizi di un fenomeno, infatti, segnano anche le caratteristiche del suo successivo sviluppo. E gli esordi si sono subito manifestati in termini di mera contabilità sanitario-funeraria. Ogni giorno, sempre alla stessa ora, i bollettini della protezione civile nazionale, o organismi regionali e comunali, ci davano solo cifre. In termini assoluti, in percentuali, statistico- probabilistici, ma solo e sempre cifre. Nient’altro che cifre. L’aspetto umano, l’autenticità di quel nostro individuale essere per la morte, secondo la nota definizione di Heidegger, è annichilito, sepolto sotto la giornaliera, lugubre valanga algebrica. Anche questa è una nebulosa. Certamente non venefica, ma funambolica sì. Oltre gli esperti nelle varie  e spesso contrastanti sotto specializzazioni mediche (virologi, immunologhi, epidemiologi, epigenetici, infettivologhi, microbiologi, pneumologhi, anestesisti, ecc.), entrano in campo matematici, statistici, demografi, informatici, programmisti, sviluppatori di app. La singola persona non è più neanche un singolo caso clinico, ma un nudo dato indifferenziato, anonimamente identico a tutti gli altri cui si somma nel rosario serale con Ave Maria e Paternoster statistici recitati a social e canali tv unificati da Comitato Scientifico e Protezione Civile.

Carità è parola che deriva da caro, amato, diletto, riferito a una persona. La carità della persona scomparsa per Covid è anch’essa nebulizzata nel nulla. I suoi cari non le sono vicini negli ultimi respiri (perché infetti), neanche la vedono più. È già in un’urna cineraria, o piombata in una bara, trasportata con un camion insieme ad altre al cimitero, dove solo in pochi potranno assistere all’inumazione, dandole l’ultimo addio.

Al momento di scrivere ci sono circa 1 milione e centomila morti per Covid nel mondo. Corrispondono allo 0,0141% della popolazione mondiale, che ammonta a oggi a circa 7,8 miliardi. Cifra percentualmente insignificante. Anche tale cifra salisse a 10 milioni di morti, sarebbe sempre solo lo 0,141%. A 100 milioni l’1,41%. A 1 miliardo il 12%. Resterebbero ancora 6.8 miliardi di persone sul nostro pianeta. Ci sarebbero più del doppio dei 3 miliardi di abitanti di appena sessant’anni fa, nel 1960. Nel 1920 eravamo 2 miliardi; nel 1804 1 miliardo. E il mondo non era forse ugualmente pieno? Anzi, la tacita alleanza negazione prima-potere economico mondiale, potrebbe inclinare alla tentazione del laissez-faire, laissez-crever, lasciate fare, lasciate crepare, così da annichilire, progressivamente, i diritti economico-assistenziali generali, iniziando dai più anziani, deboli, malati, poveri, emarginati.

La negazione seconda, ossia lo svuotamento del senso di morte per via statistico-percentuale, invece, conduce prima o poi a un mutamento di civiltà. Perché la visione della morte non è stata sempre la stessa nella storia, nei popoli, nelle culture umane. Anche quella vigente nel nostro Occidente e oggi dominante sull’intero pianeta è il risultato di un preciso e determinato pensiero storico. E sempre i mutamenti di visione della morte hanno sotterraneamente accompagnato i mutamenti di civiltà.

di Riccardo Tavani

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