Assassinio nel cielo sconfinato di una cattedrale

Alcuni accadimenti tra loro apparentemente lontani all’improvviso convergono in un singolo punto spazio-temporale e fanno implodere una più grande contraddizione più vasta che li avvolgeva. Notre-Dame di Nizza ha tragicamente incarnato tale punto. Fanatismo islamico, immigrazione clandestina, crescente tensione franco turca sul Mediterraneo si danno appuntamento il 29 ottobre di questo pandemico 2020, prendendo la forma – per parafrasare il noto dramma teatrale di Thomas Eliot – di un agghiacciante assassinio nella cattedrale. Non un singolo arcivescovo è però stato scannato, ma tre semplici fedeli, tra cui una donna decapitata, il sagrestano sgozzato, un’altra donna esalata per dissanguamento. Una quarta persona è ferocemente ferita e ancora in fin di vita. Brahim Aoussaoui, di soli ventun anni, è sbarcato clandestinamente a Lampedusa proveniente dalla Tunisia, poi è trasferito a Bari, e ancora in Sicilia, da dove – senza neanche fare domanda d’asilo all’Italia – raggiunge invisibilmente, silenziosamente la Francia, Nizza. La città era già brutalmente insanguinata il 14 luglio 2016 con un Tir che ha seminato quaranta morti e duecentocinquanta feriti, correndo all’impazzata tra la folla estiva del suo bel lungomare. Soprattutto, però, l’eccidio nella Basilica segue solo di un battito di ciglia l’orrenda decapitazione del professore Samuel Paty a Parigi. La Francia è senza dubbio sotto stringente attacco. Un attacco interno-esterno.

 

Già dai primi di settembre è emersa una tensione tra Francia e Turchia che è andata rapidamente crescendo. Morivo: le ricerche petrolifero-marine avviate dal governo Erdoğan su un area dell’Egeo che la Grecia, invece, considera sue acque territoriali, essendo prospicenti le isole del Dodecaneso, in particolare a quella della piccola Kastellorizo, distante però solo due chilometri dalla costa turca. La Francia si è schierata nettamente con la Grecia, tanto da partecipare a una esercitazione militare navale congiunta in quell’area. La Turchia, come la Francia e la Grecia, è un paese ufficialmente alleato, facendo parte dell’alleanza nord atlantica Nato. Si tratta dunque di un conflitto esterno, dal punto di vista dei confini strettamente nazionali, ma interno, da quello geo-strategico. La Turchia, inoltre, controlla, proprio per conto e dietro compenso economico dell’Europa, la crescente massa di migranti che premono sul Continente. 15 sono i miliardi di euro che Bruxelles ha versato nelle casse di Ankara dal 2002 a oggi. E la crescita dei versamenti europei è direttamente proporzionale all’aumento delle pretese e sfrontatezze politiche internazionali del leader turco Recep Tayyip Erdoğan. Ricordiamo che nel 2017 – in occasione del referendum sulla riforma costituzionale turca – Erdoğan pretendeva di tenere dei comizi elettorali direttamente in Germania. Qui, infatti, sono milioni i cittadini stratificati dagli anni ’50 del secolo scorso a oggi dell’emigrazione lavorativa turca, incentivati dallo stesso governo e apparato produttivo tedesco. La pretesa è stata immediatamente stroncata da Angela Merkel. Evidente appariva il tentativo di saldare micidialmente insieme nuova emigrazione esterna-vecchia immigrazione interna. Ricordiamo anche che Erdoğan negli ultimi anni ha impresso una vertiginosa svolta islamista alla sua politica e al suo profilo personale, fino a seppellire definitivamente gli spiccati tratti laici che Kemal Atatürk, il padre della Turchia moderna, ha conferito a tutta la vita politica, civile e culturale turca con la sua ascesa al potere cent’anni fa. L’ultimo tassello è la recente conversione in moschea dell’antica basilica di Hagia Sofya (Santa Sofia) a Instanbul, dal 1931 sconsacrata ed eretta a museo d’arte ammirato e visitato da turisti di tutto il mondo.

 

Al di là degli aspetti contingenti, a Nizza è avvenuto il fulminante corto circuito di questi diversi ma convergenti aspetti. L’islamismo tenta di rappresentare politicamente la pressione migratoria del sud povero del mondo sui confini occidentali, così come – prima della caduta del Muro di Berlino – faceva l’Unione Sovietica all’interno del duopolio planetario Usa-Urss. Operazione geo-strategica già tentata dall’Iran, dopo la presa di potere dell’Imam Khomeini nel 1979. La fondazione di una storicamente inedita Repubblica Islamica, per sancire la rottura definitiva del filo occidentalismo rappresentato dal precedente potere dello Shah Reza Palevi, voleva favorire anche questa svolta internazionale. Il successivo tentativo di dotarsi di armamento atomico mirava e mira ancora a ergersi quale potenza atomica contrapposta a quella di Usa, Gran Bretagna e Francia. Esattamente come la vecchia Unione Sovietica. L’Occidente ha saputo porre un argine, a stringere dentro un cordone sanitario tale tentativo esterno. La Turchia, però, è interna, come si diceva, all’alleanza militare euro-americana. È maledettamente più arduo arginare il suo tentativo di ergersi a potenza sub-imperialista di tutta quell’area che si estende fino all’odierna Russia, ossia all’erede dell’ex blocco sovietico. L’intesa politica e militare tra Erdoğan e Putin cresce si estende ormai dalla Libia alla Siria, riuscendo anche a superare contrasti di momento, quali persino l’abbattimento da parte della Turchia di un aereo russo sui cieli siriani nel 2015.

 

Alla luce di questo quadro, le decapitazioni e sgozzamenti del fanatismo islamico in terra di Francia, non possono che essere visti quali azioni di propaganda armata, rivolte al fronte interno, ossia alla egemonia strategica su tutta quell’immigrazione, passata e recente, proveniente dalle ex colonie arabo-africane francesi. Lo scrittore Michel Houellebecq, nel romanzo del 2015 Sottomissione, immagina l’elezione a Presidente della Repubblica di un candidato islamico, cui quietamente si adatta la classe dominante francese. È solo uno scenario fantapolitico, ma fondato su quella reali faglia geologica nel sottosuolo continentale che renderanno inesorabilmente più acuto lo scontro.

 di Riccardo Tavani

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