Conflitto d’interessi tra sanità pubblica e multinazionali private

Oggi vorrei parlare di sanità pubblica: un argomento noioso, che ogni tanto bisogna pur affrontare.

La nostra salute e la nostra vita possono dipendere da come questa funziona. In ogni caso la sanità incide molto sull’economia, sia a livello statale e regionale, sia a livello personale: fa una bella differenza se pago o no di tasca una medicina o un ricovero.

Quanto sia importante lo vediamo dove non c’è un sistema pubblico e universale di assistenza. Ma da noi, per fortuna, c’è un Sistema Sanitario Nazionale.

È pieno di difetti, è notoriamente terreno di corruzione, ma ci dà gratis la maggior parte di ciò che serve per curarci. O, piuttosto, apparentemente gratis: infatti la spesa è pagata pur sempre da noi, attraverso le tasse e i contributi. Tolti gli evasori fiscali, che sono gli unici a fruirne davvero gratis, lo paghiamo in ragione delle possibilità economiche e non del bisogno di cura.

Per questo duplice ordine di motivi (economico ed …esistenziale) la sanità è importante, e dobbiamo sorvegliarla, perché non è raro che sia minacciata da qualcosa. Più spesso, la minaccia è costituita dai tagli economici, ma qualche volta compare un’insidia più sottile, quasi invisibile, sicché nessuno ne parla e pochi ne sono al corrente, specialmente in tempi di covid, che fa passare in seconda linea molte altre notizie.

È il caso dell’accordo sottoscritto da un’azienda farmaceutica multinazionale (la Sanofi) con due associazioni di medici italiani: la Federazione italiana medici di medicina generale (Fimmg) e la Società italiana di medicina generale e delle cure primarie (Simg).

Per capire che è una cosa grossa, bisogna considerare che Sanofi fattura oltre 36 miliardi di euro l’anno e che si situa tra le prime 5 aziende nel mondo, con un fatturato complessivo di oltre 200. Per questa grande potenza economica, si parla (a torto o a ragione) di “big pharma” per indicare il peso delle grandi industrie nei confronti della classe medica come dei governi. Per contro, le due associazioni mediche rappresentano la quasi totalità dei “medici di base” italiani, cioè tutti o quasi quelli che ci curano in convenzione con il Sistema Sanitario. Insomma, l’accordo non è cosa da poco.

Esso prevede lo sviluppo di progettualità “volte a formare i medici del futuro su tematiche cliniche in costante evoluzione come l’ambito cardio-metabolico, la prevenzione e la gestione della cronicità” e “l’identificazione di un corretto orientamento in caso di emergenza sanitaria, picchi di gestione di condizioni o patologie stagionali” (ADNkronos,  https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2020/04/23/intesa-fimmg-simg-sanofi-per-formare-medici-del-futuro_ui1afWl54oqFPaNIrhqKRP.html).

Collaborare alla formazione dei medici non sembrerebbe una cosa preoccupante. Anzi, la si direbbe auspicabile.

Se non che, Claudio Cricelli (presidente della Simg) così commenta l’accordo: “Attraverso la sottoscrizione di questo accordo, stiamo contribuendo a costruire le basi per una revisione sostanziale del sistema sanitario, del ruolo delle singole professioni e delle relazioni tra professionisti, autorità sanitarie e tutti gli attori che compongono il mondo della salute” (ADNkronos, ibidem). In altre parole, un’associazione professionale si è messa d’accordo con un’industria farmaceutica per lavorare a una revisione sostanziale del sistema sanitario, che è cosa pubblica, bene comune, non proprietà o competenza dei contraenti l’accordo.

Ma forse Crivelli esagera, si potrebbe pensare che si sia fatto prendere la mano dall’entusiasmo…

Invece no. Anche Silvestro Scotti, segretario nazionale Fimmg, ribadisce che l’accordo “aiuterà a considerare anche la  variazione dei modelli di offerta di salute e di evoluzione dello stesso rapporto medico paziente”: a parte la fumosità dell’espressione (ma si fa fumo solo se si vuole dissimulare qualcosa), Scotti prospetta che fatti delicati come il rapporto medico-paziente e il modello della sanità pubblica possano passare attraverso un accordo tra associazioni e industria, nessuno dei quali è in alcun modo titolare di quelle istanze. 

A sua volta, Marcello Cattani, Direttore generale di Sanofi Italia, parla di “miglioramento complessivo dell’accesso alla salute” (ma forse basterebbe dire “accesso alle cure”: non esageriamo!) e di “ripensamento di modelli di presa in carico dei pazienti che vivono con una condizione cronica”.

Insomma, sembra che si voglia modificare l’accesso alle cure, il rapporto medico-paziente, il sistema sanitario, il ruolo delle professioni e il rapporto con le autorità sanitarie senza passare per le istituzioni preposte a tali cose. Anzi, conferendo un ruolo del tutto ingiustificato a un’industria farmaceutica (forse non indifferente ai profitti) e a due associazioni mediche che si sono auto assegnate un compito così delicato. Sarebbe ridicolo se non fosse grave.

Esagero? o forse le parole hanno perso di significato e ognuno può dire quel che gli pare?

Certo, una qualche presa di posizione me la sarei aspettata, da parte del ministro della sanità, dell’ordine dei medici, da qualche associazione di cittadini. Se ce n’è stata qualcuna, non sono riuscito a trovarle, e me ne scuso, pur avendole cercate nei mezzi di comunicazione e nel web.

Sono passati alcuni mesi dall’accordo senza interventi ufficiali (o per lo meno pubblicamente evidenti) da parte di chi ha responsabilità istituzionale sui temi di cui l’accordo si occupa.

C’è poi un altro aspetto non trascurabile: il cosiddetto conflitto d’interessi.

È, questo, un problema molto dibattuto in ambito medico, dove l’influenza delle case farmaceutiche si fa sentire non poco. Non mi riferisco soltanto ai casi di rapporti illeciti con l’industria sanitaria, che pure ci sono stati e sono stati oggetto di indagini e sentenze giudiziarie. Mi riferisco alla prassi quotidiana delle cure e della ricerca scientifica. Ad esempio, le riviste scientifiche, per pubblicare un lavoro, richiedono una dichiarazione che neghi (o renda esplicito) qualunque tipo di possibile conflitto. Nell’elaborazione di tutte le linee guida di diagnosi e cura delle malattie, un capitolo è specificamente dedicato ai possibili conflitti d’interesse. Voglio dire che si tratta di un problema non privo d’importanza in tutti gli aspetti della medicina e della ricerca medica.

E, mi sembra ovvio, questo tema non può essere ignorato riguardo a un accordo così ambizioso come quello di cui si parla.

Di conflitto d’interessi si è recentemente occupata l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), perché, ovviamente, tale aspetto incide sull’uso dei farmaci nella pratica clinica e nell’attività di ricerca.

Un editoriale pubblicato sul sito AIFA (http://www. agenziafarmaco.gov.it /content /i- medici -di-fronte-al-conflitto-di-interesse) si occupa dell’argomento, evidenziando come l’influenza delle case farmaceutiche o di altre industrie sanitarie si esplichi attraverso diversi meccanismi, dei quali sovente il medico non è consapevole e che vanno ben al di là di una sua eventuale dipendenza economica.

Sebbene si tratti di un problema sentito a tutti i livelli, come spesso succede, non è adeguatamente normato dalla legge italiana. Forse non è normabile compiutamente, dal momento che presenta uno spettro amplissimo di situazioni: dal rapporto economico diretto o indiretto, anche se lecito, all’influenza subliminale che possono esercitare le varie forme di promozione, alla presenza negli eventi formativi come congressi e convegni vari, all’azione più o meno persuasiva dei cosiddetti collaboratori scientifici.

Ma dare l’esclusività nello sviluppo di percorsi formativi ad una singola casa farmaceutica è davvero giocare col fuoco: come si può pensare che non si sviluppi un conflitto d’interessi tra chi produce e vende e chi utilizza i farmaci in un contesto simile? È già difficile non cadere in conflitto quando si ha a che fare con molteplici case; ma se si fa un accordo con una sola allora il conflitto non è più un rischio: è una certezza!

C’è, poi un altro aspetto non meno importante. Considerato che il Sistema Sanitario è finanziato dai cittadini e che, quindi, questi e non altri ne sono i titolari e i padroni (oltre che i fruitori), in nome di chi due associazioni mediche contraggono un così discutibile accordo con la Sanofi? E perché non si sono accordate con le università, se hanno così a cuore il problema della formazione? O con l’insieme delle molteplici case farmaceutiche, per ridurre il peso di ciascuna nei percorsi formativi?

Infine, consentitemi di sollevare un problema di natura “andreottiana”: cioè relativo ad un cattivo pensiero che potrebbe, però, cogliere nel segno.

Oggetto rilevante ed esplicito di questo benedetto “percorso formativo” è il “corretto orientamento in caso di emergenza sanitaria, picchi di gestione di condizioni o patologie stagionali”.

Ma non è che Sanofi produce vaccini antinfluenzali?

Effettivamente sì, li produce (Sanofi Pasteur).

Ora, si sta molto parlando della necessità di vaccinarsi contro l’influenza in questa fase strisciante della pandemia di covid19.

Si dice, ad esempio, che la vaccinazione antinfluenzale serve a non confondere i sintomi influenzali da quelli del covid. Si aggiunge che il vaccino antinfluenzale potrebbe avere un qualche effetto protettivo nei confronti del coronavirus, poiché stimola in modio aspecifico il sistema immunitario.

Purtroppo non è proprio così.

I dati provenienti dall’Australia, dove l’inverno è da poco finito, hanno dimostrato un crollo dell’incidenza dell’influenza rispetto all’anno precedente: da 61.000 casi a 107. Ma la vaccinazione antinfluenzale è stata fatta da meno della metà della popolazione, ed è aumentata di meno del 20%: con ogni evidenza, il crollo è da mettere in rapporto più con le misure igieniche anti covid che con il relativo aumento delle vaccinazioni.

Tali dati fanno riflettere. Forse le misure igieniche personali e sociali hanno reso superfluo il vaccino. Servirebbe; comunque, una valutazione equilibrata e priva di conflitti d’interessi.

Quanto all’effetto protettivo contro il coronavirus, ancora nessuno ha fornito il benché minimo dato scientifico a sostegno: non è che un auspicio. E personalmente conosco dei vaccinati che si sono ammalati di covid: ne è pieno il mondo.

D’altra parte, l’efficacia del vaccino antinfluenzale è considerata bassa sia in una revisione Cochrane sugli over 65 (il target preferito dai sostenitori del vaccino) sia da un lavoro dello stesso Istituto Superiore di Sanità (Influenza vaccine effectiveness in an Italian elderly population during the 2016-2017 season, Ann Ist Super Sanità 2018 | Vol. 54, No. 1: 67-71). Lo studio conclude per una scarsa efficacia protettiva negli anziani riguardo a ricoveri e mortalità (“we could not show any protective effect of the influenza vaccine”), mentre ha riscontrato un aumento di ricoveri per polmonite nei vaccinati (hospitalizations for pneumonia and influenza, that where 47% more likely among subjects who received the tetravalent vaccine).

Anche questi dati richiedono una riflessione lontana dai conflitti c’interessi.

Ma, infine, non è che Sanofi produce anche vaccini anti covid?

Certo che sì! e sono in fase avanzata di sperimentazione.

Mi sembra abbastanza evidente il conflitto d’interessi di un produttore di vaccini nelle tematiche “emergenza sanitaria, picchi di gestione di condizioni o patologie stagionali” che sono uno dei temi espliciti dell’accordo. È così opportuno che gli siano in qualche modo affidati i processi formativi dei medici su questi difficili e delicati argomenti?

Tutte queste considerazioni non riguardano solo i medici. Hanno invece rilievo per tutti i cittadini, in quanto titolari del diritto alla salute, fruitori e finanziatori del Sistema Sanitario Nazionale. Bisogna che sappiano e, possibilmente, intervengano a protezione di sé stessi e del bene comune.

di Cesare Pirozzi

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