Dove non c’è libertà non c’è scelta per le donne

Era il 1948 quando la giovane deputata comunista Teresa Noce depositò una delle prime proposte di legge del neo-costituito Parlamento della  Repubblica Italiana per tutelare la maternità delle donne lavoratrici. In questa proposta si introducevano il divieto di licenziamento della donna  in gravidanza e puerpera e il divieto di adibirla a lavori usuranti che mettessero a repentaglio la sua vita e quella del figlio. Iniziativa sostenuta dalla collega democristiana Maria Federici, con la quale iniziò un proficuo sodalizio nel condurre comuni battaglie per il riconoscimento dei diritti delle donne lavoratrici – come la legge del 26 agosto 1950 n. 860,  che introduce il principio di uguale retribuzione a parità di mansione tra uomo e donna-.

Dunque già nel 1948 queste donne avevano avuto l’ardire di condizionare la Carta Costituzionale introducendo prescrizioni a tutela dei diritti fondamentali delle donne nella vita privata e nellavita pubblica  con  l’art. 37 che è doveroso ricordarenella sua interezza: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre a al bambino una speciale adeguata protezione”. Un articolo che racchiude in sé il cuore della più grande delle irrisolte questioni in merito  alla funzione essenziale della maternità e del suo rapporto con il diritto al lavoro.

E proprio oggi, in questo tempo imprevisto segnato dalla prepotenza del Covid-19, non si può non portare nell’attualità, il senso di quelle parole contenute nella Carta fondamentale, patrimonio delle donne e degli uomini di questo straordinario, ma anche bizzarro Paese che è l’Italia.  In fase di pandemia e dell’adagio del “tutti a casa” per salvare sé stessi e l’umanità intera, il diritto al lavoro, prima ancora di altri diritti ad esso funzionali, ne esce fortemente condizionato e trasformato. Siamo stati costretti a ripensare completamente al modo di esercitare le nostre attività lavorative, nei modi e negli spazi attraverso il quale lo stesso si sviluppa con effetti non sempre rispondenti agli standard di efficienza cui eravamo abituati. Si è soprattutto capovolta la suddivisione tra sfera pubblica e sfera privata con una sovrapposizione e talvolta confusione tra le due, generando degli sconfinamenti incontrollabili e, nella maggior parte dei casi, tutti a scapito del genere femminile che invece ha sempre dovuto affermare un chiaro ed evidente equilibrio tra le due sfere.

Ci vorrebbero specifici interventi che consentano alle donne di poter scegliere se essere madri e lavoratrici allo stesso tempo senza essere sottoposte gioco forza ad una crudele alternativa.

Fu proprio un’illuminata sindaca della città di Modena, Alfonsina Rinaldi, a sperimentare per la prima volta in Italia la riorganizzazione dei tempi delle città con un piano regolatore apposito. E’ su questo terreno che si deve giocare la partita della totale realizzazione del principio delle pari opportunità, che non può portare ad avere nel nostro Paese un tasso di natalità sotto zero per l’assenza di politiche e servizi all’infanzia che permettano ad ambedue i genitori di poter costruire un giusto equilibrio tra le due sfere della vita. 

La donna deve essere messa nella condizione di poter scegliere e non di dover essere obbligata a scegliere: dove non c’è libertà non c’è scelta. La pandemia da Covid-19 ci ha quindi crudelmente offerto questa nuova opportunità di ripensare aitempi del lavoro e della vita. Un invito che deve essere raccolto oggi più che mai, altrimenti si rischia di perdere un’ennesima occasione non per fare nuove leggi, continuando ad applicare quelle già esistenti nella creazione di un mondo per donne e uomini quale oggi, purtroppo, non è. 

di Stafania Lastoria

Print Friendly, PDF & Email