VACCINI MULTINAZIONALI

Finalmente il vaccino, anzi, i vaccini anti covid sono quasi pronti. Tra poco saranno disponibili le prime dosi, per le categorie più a rischio, poi gradualmente (si spera) per tutti gli altri sette miliardi di abitanti del pianeta Terra. Le case farmaceutiche lo hanno annunciato con comprensibile soddisfazione; i politici hanno fatto eco, felici che questa grana del covid sia destinata a finire, pronti a ricominciare a pieno ritmo con le loro consuete e non sempre gradevoli abitudini.

Ma non poteva mancare qualche polemica.

Non mi riferisco tanto ai cosiddetti no-vax, cioè a quelli che sono contrari per principio, perché coi vaccini ci iniettano un chip per controllare la mente, o perché contengono cellule di feti abortiti, o per altre simili fanfaluche. D’altronde sono una minoranza, e siccome danno l’idea che per essere contro i vaccini bisogna essere un bel po’ creduloni, forse sono al soldo delle multinazionali farmaceutiche per togliere credibilità alle voci critiche più serie e documentate. Cioè a quelli che, semplicemente, vogliono vederci chiaro e si fidano della scienza, certo, ma non della speculazione economica. 

E già, perché anche di questo si tratta, nell’economia liberista che caratterizza la nostra civiltà. L’interesse economico è intimamente legato alla scienza (o per lo meno alle sue realizzazioni tecnologiche) in tutto ciò che concerne farmaci, vaccini e presidi sanitari di ogni tipo.

Ed è il caso di parlarne: non è un affare da poco, muove svariati miliardi di euro, o di dollari. E sono, ovviamente, soldi nostri oltre che nostra salute.

Chi realizza un prodotto nuovo, come un’aspirapolvere senza filo, un farmaco o un vaccino (ma anche un romanzo) è tutelato dalla legge, che giustamente ritiene che l’ingegno debba essere remunerato. Perciò esistono i brevetti (e i diritti d’autore). Sembrerebbe che uno dei primi al mondo a godere di questo diritto di esclusiva sia stato Brunelleschi, che nel XV secolo aveva ideato una particolare chiatta usata per il trasporto dei marmi necessari alla costruzione di Santa Maria del Fiore. Non si può davvero negare che il principio del brevetto sia giusto: l’ingegno umano deve essere remunerato.

Ma non sempre è l’ingegno ad essere remunerato. Almeno, non nel caso di un vaccino. Se è vero che un nuovo vaccino richiede una progettazione complessa e precisa, che coinvolge l’ingegno di una equipe di specialisti, poi però il brevetto è proprietà dell’azienda per la quale quegli ingegni hanno lavorato. In altre parole, i soldi vanno a premiare non l’ingegno, ma il capitale.

Ma neanche questa regola, pur meno giusta sul piano etico, viene sempre rispettata. Infatti, se uno Stato finanzia l’industria per la progettazione di un vaccino, il brevetto non va a chi ci ha messo i soldi (cioè lo Stato) né a chi ci ha messo l’ingegno (cioè gli scienziati) ma sempre alla casa farmaceutica che lo realizza.

Beh, io non riesco bene a capire la logica che sta dietro a questo inghippo, ma mi assicurano che è così e che è perfettamente legale.

Insomma, sembrerebbe che l’industria farmaceutica abbia di fatto una posizione privilegiata.

D’altronde, l’industria si assume un rischio – il rischio d’impresa – ed è giusto che realizzi un guadagno.

Ma allora non è giusto che cerchi di scaricare l’onere del rischio sulla collettività. Ed è quel che si sta cercando di fare con il vaccino anti covid. Ce l’ha fatto capire (lo scorso lunedì 16 novembre) il ben documentato servizio di Report: a quanto pare, l’industria farmaceutica sta convincendo gli Stati ad accollarsi l’indennizzo dei danni causati da eventuali “difetti nascosti” del vaccino. Dove per “difetti” si intende la possibilità di causare effetti indesiderati, e per “nascosti” il fatto che la sperimentazione clinica non li ha evidenziati. Detto in parole chiare: l’industria farmaceutica non può garantire che qualcuno non si ammali o non muoia a causa del vaccino, ma se dovesse succedere non vuole pagare i danni, anzi cerca di “cedere” allo Stato l’onere di eventuali risarcimenti. Sembra che voglia quasi una sorta di immunità.

Qui il liberismo – sulla cui base poggia tutto il meccanismo economico dei brevetti – va un po’ a ramengo: lo Stato non dovrebbe entrarci con il rischio d’impresa. In un sistema economico liberale dovrebbe prevalere la responsabilità e la libera concorrenza, non questa strana assistenza statale, che dovrebbe garantire a scatola chiusa il capitale privato.

E poi, un accordo di questo tipo non rischia di disincentivare la ricerca degli effetti indesiderati?

Ma allora? Dobbiamo tenerci il covid?

Certo che no. Io credo che i vaccini anti covid servano, ma serva anche un discorso onesto che, purtroppo, la politica cerca di non fare.

Il covid-19 ha una letalità non trascurabile. Nel complesso ammonta, in Italia, al 3,8% dei malati; ma per i settantenni sale all’8% e per gli ottantenni al 15%. Non è un’influenza, che ha letalità molto inferiore allo 0,1%.

Anche il numero di morti rispetto alla popolazione è tutt’altro che trascurabile: in Italia ne abbiamo già avuto 75,6 ogni 100.000 abitanti.

Voglio dire che vale la pena vaccinarsi, di fronte a un rischio così concreto di morire di covid. Io sono disposto a rischiare gli effetti collaterali della vaccinazione che, ne sono certo, sono di gran lunga inferiori rispetto alla malattia. Se fossero dello stesso ordine di grandezza, non potrebbero restare “nascosti”, sarebbero ben visibili in qualunque dei trials clinici finora effettuati.

Certamente, non è proponibile il vaccino ai bambini (mortalità da covid-19 è dello 0,0% sotto i 10 anni) perché in questo caso non sono assolutamente giustificabili i rischi – evidenti o “nascosti” – del vaccino.

In fondo, di questo si tratta: di sapere che in generale i vaccini non sono innocui in modo assoluto. ma devono rappresentare un rischio trascurabile rispetto alle malattie da cui ci difendono. Proprio come le medicine: possono avere effetti collaterali anche mortali, ma non per questo non le usiamo e non ci curiamo.

Perciò la legge, fino a qualche anno fa, prevedeva il consenso informato dei genitori per le vaccinazioni infantili, come è necessario il consenso informato per qualunque farmaco o intervento chirurgico: ogni cura ha i suoi rischi.

Ma non per questo è giusto dire che i vaccini sono “innocui”. Comportano un rischio relativamente basso di complicanze ed effetti indesiderati, che deve essere valutato in rapporto al rischio della malattia che si vuole prevenire. E deve essere dichiarato. E deve essere risarcito da chi ne è responsabile. I ministri che dichiarano innocui i vaccini sono semplicemente in mala fede: non posso credere che non siano informati. Persino per un’aspirina ci si può ammalare e qualche volta morire: è un dato di fatto registrato nella letteratura medica, non un’ipotesi peregrina. Anche un intervento routinario come l’appendicectomia ha una sua – pur modesta – incidenza di complicanze e mortalità.

In ogni caso, la vicenda dei brevetti e dei vaccini anti covid ha evidenziato il peso dell’economia sulla scienza o, forse, la debolezza della politica nei confronti dell’economia.

Credo, infatti, che la faciloneria con cui la politica propone o impone le vaccinazioni (vedi gli altri articoli di Stampacritica sull’argomento: numeri 02/2017, 9/2017, 11/2017, 10/2020) ci debba far riflettere sul ruolo dell’industria farmaceutica nell’influenzarne gli orientamenti.

di Cesare Pirozzi

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