Violenza sulle donne. La storia di Anna, scappata dal compagno in pieno lockdown

Anna ha fatto le valigie in un’ora, ha messo la sua vita in una borsa, ha preso sua figlia ed è scappata. E’ successo lo scorso 3 aprile, in pieno lockdown, dopo anni di violenze fisiche e psicologiche, dopo anni in cui con parole chirurgicamente studiate, il suo compagno ha cercato di minare la sua dignità, il suo valore come donna e come persona, sminuire la sua autostima fino a farle credere, davvero, di non valere più nulla.

Raccontiamo ora la sua storia in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che si celebra il 25 novembre in tutto il mondo. Anna ci racconta che con la pandemia, la situazione in casa era peggiorata molto, le aggressioni erano aumentate, minacce come “Ti butto giù dal balcone o ti spacco la testa” erano diventate la colonna sonora della sua vita. Di quel che rimaneva della sua vita.

Ci dice: “la violenza psicologica e verbale, mi ha proprio distrutta, più della violenza fisica. Ancora oggi faccio fatica a credere in me, a pensare che sono una persona che vale. Il consiglio che mi sento di dare alle donne che si trovano in una situazione simile alla mia? Non sottovalutare mai le avvisaglie, anche quelle piccole: se ti dice che non ti puoi vestire in un certo modo, se controlla sempre dove vai, cosa fai. Non sono cose normali, non è normale”.

Dopo aver attraversato la città deserta, che le sembrava ”un film sulla fine del mondo”, ha raggiunto la stanza di un hotel messa a disposizione da Be Free, una cooperativa sociale che durante la prima ondata e il primo lockdown (grazie al finanziamento della Fondazione Haiku Lugano e a una collaborazione con Federalberghi) ha messo a disposizione delle donne vittime di violenza alcune stanze in diversi alberghi della capitale, per permettere loro di lasciare la casa in cui vivevano. Anna è stata la prima delle 18 donne che dal 3 aprile al 30 giugno hanno usufruito di questo servizio.

”Non è stato il Covid a scatenare la violenza contro le donne – spiega Francesca De Masi, vicepresidente di Be Free – l’emergenza sanitaria ha solo esacerbato e aumentato tutte le problematiche già presenti. La violenza di genere è un problema strutturale“. Il punto, secondo la cooperativa antiviolenza e antitratta, è la cronica mancanza di posti in case rifugio, rispetto al bisogno calcolato: ”Secondo il Consiglio d’Europa in una città come Roma ci dovrebbero essere 300 posti per l’accoglienza, uno ogni 10 mila abitanti, invece ce sono solo 40.” A seguito della pandemia però, fa sapere Francesca, i metodi per raggiungere le donne in difficoltà sono aumentati: ”Ora per comunicare usiamo molto whatsapp, la mail e anche la nostra pagina Facebook”.

Il paradosso è che viviamo in un mondo in cui una donna vittima di violenza si deve proteggere, spesso da sola, con l’aiuto di associazioni di volontari e anche quando denuncia, nulla si muove. Sono donne dimenticate anche dalle autorità che dovrebbero proteggerle, mentre nessuno ha educato un uomo alla semplice idea di rispetto, ad amare una donna con forza e non “con la forza”.

E allora ancora una volta invitiamo tutte le donne a cogliere i primi segni di squilibrio, di violenza, quella delle parole, quella psicologica e denunciare.

Perché finora è il solo modo per liberarsi dalla prigionia.

Il solo modo di estirpare questa piaga sociale e invitiamo anche i vicini, che sanno, che sentono a chiamare le forze dell’ordine.

Perché anche quel silenzio è condivisione e collusione.

E vorrei finire con le parole di William Shakespeare:

“Per tutte le violenze consumate su di Lei, per tutte le umiliazioni che ha subito, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l’ignoranza in cui l’avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le ali che le avete tagliato,
per tutto questo: in piedi, Signori, davanti ad una Donna.”

di Stefania Lastoria

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