Poveri noi

Le macchine che ingranavano già prima dell’alba a metà mattina sono ancora ferme. In fabbrica si respira un’aria da caduta dell’Impero Romano d’Occidente: muti i passaggi tra i reparti, spente le luci artificiali, non respirano le ventole dell’impianto di aerazione, sono freddi i tubi dell’impianto di riscaldamento. Regna un ordine impensato nei corridoi, nei piazzali. I corrieri non consegnano che di rado, ancora più raramente caricano merce. Più di qualcuno ha lavorato soltanto le quattro ore della mattina. Nel pomeriggio è rimasto a casa per l’ennesimo mezzo turno di ferie in attesa di una telefonata che lo richiami al lavoro, che gli risolva l’incognita di domani.

Di doman non c’è certezza” , scriveva Lorenzo il Magnifico in un inno alla letizia. Non per noi, che siamo diventati irrimediabilmente tristi, di pensiero precario, più che mai ammalabili, ancorché licenziabili.

Se ci inquieta l’alba di domani, quella di dopodomani ci spaventa. Immaginare come sarà la vita tra qualche mese o tra qualche anno è diventato un esercizio inutile se non assurdo. La pandemia ha cancellato i progetti, i programmi e la dignità economica di molti, anche di chi -dipendente assunto con contratto a tempo indeterminato- contava di essere al sicuro. Se consideriamo che in Italia i lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato sono solo un terzo del totale, è facile capire in che direzione stiamo andando.

1 italiano su 100 è diventato povero negli ultimi mesi.

23 milioni di persone hanno visto il proprio reddito ridursi.

1 italiano su due vede il proprio futuro a rischio. Ad essere più colpiti sono i disoccupati, quelli in cerca di una prima occupazione, i lavoratori autonomi e indipendenti, i lavoratori con contratto a termine.

L’ultimo rapporto della Caritas ha evidenziato l’inasprirsi del dramma della povertà, che la pandemia ha complicato. Perché il Covid-19 non colpisce tutti allo stesso modo: ammala gravemente per lo più gli anziani, la parte  fragile della popolazione, si accanisce sulle fasce sociali che vivono in case di pochi metri quadri, su chi risparmia sul cibo e sui farmaci. I suoi effetti non sono solo sanitari, ma anche economici e sociali: la somma della vecchia povertà unita alla nuova aumenta la diseguaglianza. Chi nasce figlio di operai, o in una famiglia senza titoli di studio, chi nasce al Sud in una famiglia numerosa, magari donna, ha il destino segnato. Ha il futuro ipotecato chi non ha le “conoscenze” giuste, o una ricchezza alle spalle.

Il governo con l’imposizione del “lockdown” ha in qualche misura limitato i danni sanitari, ma poco ha fatto per arginare un impoverimento progressivo e pericoloso. Di fatto non ha curato il male di fondo. Avrebbe potuto intaccare i privilegi di pochi per curare il malessere di molti, che invece resta in carico solo e soltanto alle associazioni di volontariato.

di Daniela Baroncini

 

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