La casa di Sia: l’unica salvezza per le donne di Mae Sot

Ludovica Morico

Nel nord della Thailandia, a Mae Sot, esiste un agglomerato di circa 300mila persone, immigrate legalmente o illegalmente dalla vicinissima Birmania.

La situazione pandemica in cui viviamo, sta obbligando queste persone a vivere chiuse in casa e questo, come in molti altri Paesi nel Mondo, ha causato un aumento esponenziale dei casi di violenza domestica.

Ed è qui che entra in gioco Sia. Una donna di 39 anni con esperienza decennale come operatrice sociale.

Sia decide di aprire un’associazione, Freedom restoration project (Frp).

Apre una casa di accoglienza per queste donne, perché sì, non bisogna specificare che quando si parla di violenza domestica si intenda violenza contro il genere femminile.

Sia accoglie queste povere donne, crea dei gruppi e cerca di aprirgli gli occhi sulle loro relazioni malate. Ma non è tutto: organizza anche degli incontri nelle scuole per insegnare alle ragazze come difendersi dagli abusi.

Da noi, nel Mondo occidentale, una iniziativa del genere non farebbe scalpore: è pieno di associazioni che proteggono le donne.

Ma lì non è così. La cultura di queste donne è totalmente diversa dalla nostra, o magari è uguale alla nostra di qualche decennio fa. Se una donna viene picchiata, non si confida con qualcuno ma lo tiene per sé. A detta di Sia, se una di queste donne chiede aiuto alle forze dell’ordine, spesso le viene consigliato di fare pace con il marito.

L’esperienza di Sia non è solo nel campo del sociale: lei ha vissuto sulla sua pelle la sofferenza del maltrattamento.  «Mio fratello e io abbiamo visto molte volte mia madre picchiata da mio padre, l’uomo che avrebbe dovuto amarla e proteggerla». Racconta che una volta la madre cercò di fuggire e il pestaggio avvenne per strada, davanti ai due figli di 7 e 5 anni e a numerosi passanti. Nessuno intervenne per aiutare sua madre.

Oggi, la maggior parte degli uomini di Mae Sot lavora nel campo edile, bloccato per via della pandemia. Ciò fa si che gli uomini stiano a casa. “Casa”, lì, non è come qui.

“Casa”, lì, è una stanza. Una stanza con moglie e figli.

Le tensioni aumentano e le donne di casa sono le prime a rimetterci.

Una violenza che sta, man mano, diventando “normale” e si sta radicando nella cultura di questo popolo.

Ecco perché Sia va nelle scuole: la cultura radicata, si sradica con l’insegnamento nelle scuole, visto che nella famiglia non è possibile.

Le donne devono smetterla di pensare che non possano lasciare il marito, o che si meritino le botte perché non cucinino bene o non riescano a badare ai figli. Non è facile quando si è sole, lontane dai propri parenti, in una nuova terra. La paura è di restare sole, senza aiuto ed addirittura biasimate dalla società dopo essersi ribellate.

La casa di Sia è l’unico rifugio per loro a Mae Sot.

L’obiettivo di Sia, però, è ancora più grande: vuole aprire percorsi di dialogo e di sostegno rivolti agli uomini abusanti.

Uomini che sono cresciuti vedendo picchiare le loro sorelle e le loro madri, e per i quali tutto questo sembra normale.

La speranza, ora, è che Sia riceva aiuto da altre associazioni nel Mondo per portare avanti il suo progetto che mira a sradicare una cultura ancora retrograda, per mettere le basi per un futuro migliore per le donne che verranno.

di Ludovica Morico

Print Friendly, PDF & Email